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Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2016
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Come back dei RHCP, in ottima forma, molto meglio del precedente. Si sente la produzione diversa di Danger Mouse, specialmente nella title track.
L'ultimo lavoro dei RHCP non rievoca di certo i fasti passati. Un disco che fino alla traccia 7 sembra essere accettabile/buono ma dalla 8 in poi crolla miseramente risollevandosi (forse) con la track finale, Dreams of a Samurai (bella e particolare). Peccato perché dopo il bellissimo singolo Dark Necessities era lecito aspettarsi un po' di più. Un disco comunque piacevole, ma non all'altezza neanche del predecessore I'm With You.
L'ultima fatica dei Red Hot, la seconda dopo la nuova (e definitiva?) dipartita di Frusciante, presenta una qualità artistica al di sopra di ogni sospetto. Dati per finiti, riescono invece a stupire ancora. Chi si aspetta un "novello Blood Sugar Sex Magik" o un "Californication 2: la vendetta", resterà certo deluso. Al contrario, chi avrà un approccio critico nell'ascoltare questo disco, ne coglierà le molte sfumature interessanti, sia a livello musicale che a livello di testi. E' il lavoro di una band matura che non ha paura di mostrarsi (fisiologicamente e giustamente) invecchiata, svestendo i panni degli scapestrati californiani e indossando quelli di uomini di mezza età con una vita e una carriera sfavillanti alle spalle, ma che hanno ancora voglia di mettersi in gioco. Evidentemente, l'esperienza segna e insegna, perchè il risultato è ottimo.
Recensioni
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Tutti questi spaccati di mortalità alla fine suonano bene
Come succede con i difensori di football americano, non è semplice invecchiare con dignità se sei un Red Hot Chili Pepper; letteralmente o metaforicamente, mettersi i calzettoni di spugna sul pistolino non è la scelta migliore da fare a 50 anni. Bisogna riconoscere però che l’undicesimo album dei Peppers è un robusto tentativo di far coincidere il loro passato da party animal con il loro presente, pieno di ambizioni artistiche: non sempre un’accoppiata perfetta, ma spesso molto efficace.
Con la produzione affidata a Danger Mouse e con il sesto uomo dei Radiohead, Nigel Godrich, al mix, il suono è il massimo disponibile in ambito modern-rock: brillanti passaggi di chitarra, pungenti arrangiamenti di violini e un’esplosione di ritmiche fatte in casa. Il basso di Flea è ancora la base della musica, nodoso come i muscoli di Iggy Pop, con la romantica poesia di Anthony Kiedis che si fa strada in mezzo ai suoni, raccontando Los Angeles.
Ci sono momenti sorprendenti (il mash-up tra Chic e Daft Punk su Go Robot, il saluto a J Dilla in Detroit) e ci sono momenti famigliari (l’intricato rap rock di We Turn Red). A livello di testi, l’atmosfera è spesso malinconica. Sulla nostalgica Encore, Kiedis invoca i Beatles, mentre il fun psichedelico di Dreams of a Samurai lo dipinge nudo nella cucina di una donna “troppo giovane per essere mia moglia” e poco dopo “prendendo acidi al cimitero”.
Tutti questi spaccati di mortalità alla fine suonano bene.
Recensione di Will Hermes
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