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La natura umana sta per cambiare per sempre? Fare previsioni sul futuro e sui suoi scenari dettati dalla scienza è molto difficile. La famosa previsione di Thomas Watson, presidente dell'Ibm nel 1943, "Penso che il mercato mondiale sia aperto ad accogliere non più di cinque computer", ci è di monito. Il mondo moderno è pieno di "dinosauri tecnologici", citando Nicola Nosengo ( L'estinzione dei tecnosauri , Sironi, 2003), di tecnologie anche molto promettenti che non ce l'hanno fatta. Susan Greenfield ne è ben consapevole. Ciò nonostante, ha saputo costruire un saggio straordinariamente ben documentato, ma allo stesso tempo visionario, nel quale analizza con grande profondità le conoscenze che si affacciano al nostro secolo e immagina la vita nel prossimo futuro, sulla base delle potenzialità che le tecnologie odierne possono offrire.
Ne emerge un mondo possibile, senza più dolore e malattia, in cui il corpo è manipolato con appositi macchinari, lo stato d'animo con "droghe intelligenti", la natura biologica con la terapia genetica. Un mondo nel quale la tecnologia potrebbe aver cambiato il nostro modo di mangiare, di organizzare i rapporti familiari e sociali, di lavorare e anche di combattere le guerre, in cui persino la nozione di individuo, come oggi la intendiamo, potrebbe apparire obsoleta. Le parti più coinvolgenti del libro sono quelle incentrate sulle scienze del cervello e sui loro intrecci con le tecnologie emergenti (comunicazione, informatica, biotecnologie, nanoscienze). Non casualmente le neuroscienze sono il campo di ricerca di Susan Greenfield, che è studiosa e divulgatrice insigne, direttrice della Royal Institution inglese, uno dei punti di riferimento obbligati sui temi di scienza e società.
Il libro è ampiamente da consigliare, perché contiene un mare di conoscenze scientifiche, di curiosità tecniche, di provocazioni intellettuali, di spunti etici e filosofici. Il tutto retto da un saldo impianto intellettuale e da una vena comunicativa straordinaria. Il lettore è però talvolta sconcertato. Gli scenari che si affollano sono spesso contraddittori e difficilmente riconciliabili, forse perché questo è il bello di chi fa previsioni, per fondate che siano. Manca spesso una scala temporale di questo futuro: dieci, cento, mille anni? È naturale che sia così, poiché in certi casi il cambiamento è alle porte, in altri si affaccia su abissi di tempo completamente oscuri. Il punto più critico del libro è rappresentato però da una cecità selettiva, verso i temi politici e la dimensione storica in cui si situano le innovazioni tecniche e le scoperte scientifiche. Certo si parla, e generosamente, della "vasta maggioranza", il terzo mondo che rimane escluso, ma la società tanto invocata non diviene realtà sociologica e visione politica. Basta vedere quello che è accaduto a New Orleans alla fine di agosto, dopo l'uragano Katrina, per capire la straordinaria fragilità delle società tecnologiche avanzate e le tremende sacche di emarginazione e povertà che contengono. Analogamente, il pur interessantissimo capitolo dedicato al terrorismo appare debole nelle sue conclusioni, poco analizza la genesi dei nuovi terrorismi, affatto spiega le ragioni dei conflitti.
In ogni caso, tanto di cappello per il lavoro compiuto da Susan Greenfield: voleva fare un romanzo, e romanzo di formazione, seppure anomalo, è il suo libro. Esemplare la chiusura del capitolo dedicato alla scienza, in cui l'autrice, citando l' Icarus di Bertrand Russell ("ecco perchè la scienza minaccia di causare la distruzione della nostra civiltà"), si chiede: "La scienza e la tecnologia del XXI secolo ci priveranno delle nostre passioni private", del nostro libero arbitrio?
Detto da uno scienziato militante, questa conclusione, piuttosto che pessimismo, significa: per non essere schiacciati dalla scienza, bisogna capirla. Usiamolo, allora, questo libero arbitrio, assumendoci le nostre responsabilità verso le nuove generazioni e il mondo che lasceremo.
Aldo Fasolo
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