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scheda di Roccato, P., L'Indice 1994, n. 5
Racamier è noto per l'assiduo impegno teorico e pratico di rendere utilizzabili nella concretezza della pratica psichiatrica, con gli opportuni aggiustamenti, i concetti e il metodo (non, ovviamente, la tecnica) psicoanalitici. Ci va insegnando, per esempio, che con gli psicotici è assolutamente necessario tener presente, sia per la comprensione sia per l'operatività, la famiglia reale concreta, Altre a quella strutturata dal paziente nel proprio "mondo interno". Intrapsichico e relazionale, attuale e pregresso si intrecciano così continuamente. La sua teorizzazione, pur se ancora fondata sulle vecchie concezioni pulsionali della vita psichica, è, proprio per l'oggetto di studio, costretta a fare i conti con gli aspetti relazionali della mente. Eccolo, allora, riconoscere l'importanza cruciale del lutto, processo che si colloca fra l'"interno" della mente e l'"esterno" della relazione. Il "lutto originario", attraverso il quale il bambino scoprirebbe la madre proprio attraverso la percezione della sua assenza (teoria suggestiva, che peraltro sembra decisamente smentita dalle più moderne ricerche osservativo-sperimentali, ma di cui pure può essere recuperato un senso sul piano simbolico), sarebbe alla base di ogni processo di conoscenza, di ogni relazione amorosa e di ogni realizzazione di sé. Alcuni fra i modi di non effettuare il lutto, con conseguenze patologiche anche gravi ed estreme, sono la strutturazione rigida dell'"antiedipo", le fantasie narcisistiche di autogenerazione, il "diniego" della realtà, gli sviluppi perversi dell'assetto narcisistico e la permanenza nell'ambiguità, temi cui sono riservati specifici capitoli. Più valido nell'approccio clinico che non nell'impianto teorico, persegue evidentemente anche intenti estetici (negli "aforismi", per esempio, posti a fine capitolo; o nell'eloquio, spesso più allusivo e suggestivo che non chiarificatore, a volte estremamente sintetico e a volte ampolloso e ridondante), cosa che può risultare fastidiosa. Pretenziosa e non poi tanto convincente l'interpretazione della "Tempesta di Giorgione", con cui si apre e si chiude, sfiziosamente, il libro.
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