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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2007
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Si potrebbe forse dire, non certo senza qualche approssimazione, che l'ultimo lavoro di Loretta Valtz Mannucci è una sorta di storia sociale degli Stati Uniti d'America dall'elezione di Thomas Jefferson alla presidenza del paese, nel 1800, alla conclusione della prima guerra mondiale sotto la guida di Woodrow Wilson. Eppure La genesi della potenza americana non è solo questo. L'autrice, anzi, tratteggia questo itinerario lungo la storia politica, culturale e sociale statunitense, seguendo un assunto di base che, ai fini della comprensione del testo, è utile precisare. Si tratta infatti della storia della giovane repubblica diventata infine quella grande potenza che noi tutti conosciamo attraverso un percorso particolarmente accidentato, come testimoniato dalle molte tensioni scoppiate fin dall'acceso dibattito tra federalisti e antifederalisti.
La prima parte dell'Ottocento è certamente stata protagonista di numerose innovazioni, destinate a modificare considerevolmente il volto politico, culturale e sociale del paese. Accanto alla nascita di alcuni miti politici, si stavano affermando nuovi movimenti culturali e religiosi. Era però soprattutto l'economia che procedeva a passi da gigante, spingendo oltretutto la stessa politica a innovarsi, come ben emerge dalla nascita dei partiti moderni, in gran parte grazie allo slancio e all'impegno del futuro presidente Martin Van Buren. I mutamenti a livello economico e produttivo riguardavano sia il mondo agricolo, sia quello industriale. La diffusione delle coltivazioni di cotone negli stati del Sud ne modificò radicalmente la realtà e aprì la porta a nuovi insediamenti manifatturieri, ma fu anche uno dei motori di quella diffusione della schiavitù che costituì una delle cause scatenanti della guerra civile, oltre alla messa in discussione da parte di alcuni stati, proprio a partire da questo tema, dello stesso modello politico statunitense, che affermava il predominio del governo centrale su quelli locali. La contrapposizione, sottolinea l'autrice, non avveniva quindi a livello popolare, ma riguardava le classi dirigenti americane, in un conflitto tra sostenitori di una Confederazione e sostenitori dell'Unione. Solo al termine di una guerra durata quattro anni e costata circa seicentomila morti, la questione poté, finalmente, dirsi definitivamente risolta. A sostegno di questa interpretazione, bisogna segnalare come anche dopo l'abolizione della schiavitù, i neri americani continuarono ancora per molto tempo a essere esclusi dai principali diritti concessi invece alla popolazione bianca quantomeno a quella di sesso maschile nonostante il contributo che molti di loro diedero anche durante la guerra civile.
Tensioni e contrapposizioni non mancarono di infiammare anche i decenni seguenti, segnati da un imponente programma di costruzione di ferrovie, foriero di scontri sia con i nativi americani, sia con i lavoratori, che grazie a scioperi e boicottaggi fecero vigorosamente sentire la propria voce, pur pagando grandi tributi, anche in termini di morti. Ma è solo con la fine della seconda presidenza di Wilson, e la fine della prima guerra mondiale, che gli Stati Uniti videro l'affermazione e il consolidamento del loro sistema politico e istituzionale e della loro grande potenza. Francesco Regalzi
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