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"Non c'è alcuno spleen da tagliatella o da cacio e pepe disperso in ciò che io, e una pattuglia di volenterosi mangioni, siamo andati cercando. Semmai c'è un intento di rivalutazione, di recupero e, sotto traccia, di verità riguardo alla nostra cucina". Con queste parole Carlo Cambi, uno dei massimi critici enogastronomici d'Italia, ci introduce alla lettura di questa guida gastronomica volutamente non commerciale, vera e propria risposta a quel "festival delle pentole" che inonda le nostre case con numerosissime trasmissioni televisive. Carlo Cambi, invece, opta per l'autenticità della tradizione culinaria italiana e narra delle mille trattorie e osterie dove si possono gustare piatti genuini, dove in tavola c'è sostanza, quelle che servono il vino del posto, con modi magari un po' spicci ma familiari e nelle quali si riscopre il rito e il piacere dello stare a tavola.
Il cuore dell'Italia, l'area tosco-umbra-marchigiana, è quella più ricca di trattorie che fondano la loro cucina sul legame col territorio. Sono vere "locande" che hanno scelto la continuità rispetto al valore del cibo consolidato nel tempo. Sono le preferite dall'autore che ha scritto questo libro anche per contrapporsi alle rivisitazioni costosissime di pietanze popolari (di una "pasta e fagioli", per esempio), o a certa "cucina di ricerca" dai prezzi stellari che si fa nei templi della nuova gastronomia. Nelle osterie di questa guida, invece, si torna a mangiare con consapevolezza. Capendo che la cucina d'Italia è regionale e sub-regionale, perché delle diversità territoriali ha fatto di necessità virtù e perché le ricette furono elaborate nel corso dei millenni nelle cucine di casa e non a corte, come in Francia. Una cucina il cui tempo veniva, e viene ancor oggi, scandito dall'agricoltura, che segue i percorsi agricoli e commerciali dei prodotti della terra e di quelli pescati dal mare.
Sfogliando le pagine e gli indirizzi del libro ci addentriamo in queste belle trattorie d'Italia, scoprendo che anche nelle città del Nord ci sono posti dove la pasta non è completamente liscia e industriale ma fatta in casa, ci muoviamo tra i seicento tipi di salame e altrettanti di formaggi, le trecento varianti di pasta ripiene e i cento formati di pasta di grano duro. E non è che domestico significhi di basso profilo, anzi. Non è necessario essere delle stelle di prima grandezza ai fornelli per soddisfare l'appetito e questo dovrebbe poi essere il fine ultimo dell'oste, del "cuciniere": mettersi al servizio di chi mangia, pensando al suo bene (oltre che al proprio guadagno).
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