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Anno edizione: 2020
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Febbraio 1959. Una tempesta violentissima si scatena al largo dell'isola di Terranova, una delle aree piú pescose del mondo. Quel tratto di mare generoso è diventato una trappola di ghiaccio: proprio lí naviga il peschereccio islandese Máfur con i suoi trentadue uomini a bordo. Soli, contro la forza della tempesta.
«Kárason è il Faulkner islandese: narratore eccezionale, si è già guadagnato un posto d'onore nella letteratura europea» – Boken Magazine
Sublime è ciò che ci supera. Una vetta, una cometa, un'onda. Sublime è anche l'esperienza che ne facciamo. È sempre difficile trasformarlo in parola, racconto o immagine. Il terribile kitsch sta in agguato e non perdona. Per questo è cosí complicato scrivere di mare e di storie di mare. Einar Kárason, partendo da una storia vera e da una vera tempesta che travolse nel febbraio 1959 alcuni pescherecci islandesi al largo dell'isola di Terranova, c'è riuscito. Quasi sempre, nelle storie di mare, un'operazione di tecnica quotidiana diventa l'impresa impossibile. Perché la furia del mare si scatena o assoluta è la sua immobilità. In Gabbiani nella tempesta l'impresa impossibile è una semplice virata, che porterebbe in salvo il peschereccio Máfur e il suo equipaggio. Ma sull'Atlantico del Nord, appena a sud della Groenlandia, si è scatenata una tempesta mai vista, che dura piú di tre giorni e tre notti consecutive. Onde alte anche venti metri si abbattono sul peschereccio con una violenza inaudita e l'acqua, a contatto con il ponte dell'imbarcazione e con gli strumenti di pesca, si trasforma immediatamente in ghiaccio che tutto ricopre e appesantisce. La nave potrebbe rovesciarsi da un momento all'altro e in quell'acqua un uomo può resistere solo pochi minuti. Per cercare di scampare al loro destino, i marinai devono compiere un'operazione paradossale: distruggere quanto piú possibile del loro peschereccio senza affondare, anzi, per non affondare. Devono gettare fuori bordo tutto ciò su cui il ghiaccio si aggrappa: le gru per le reti da pesca, le scialuppe di salvataggio, i loro sostegni... E tutt'intorno arrivano al marconista segnali di emergenza da altri pescherecci che poi scompaiono nelle acque ghiacciate: nessuno può aiutare nessuno. Uomini e navi sono soli come gabbiani nella tempesta. I corpi sono sfiniti, gli animi sull'orlo della disperazione, ma con poche parole e con gesti essenziali, l'intero equipaggio, dal capitano al marinaio piú giovane, diventa un unico essere vivente. Caparbio, precario, questa volta immortale.
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Racconto breve e intenso
Il peschereccio Mafur, uscito dal porto di Reykjavík, si trova al largo dell’isola di Terranova, in un tratto di mare chiamato Banco dei Laridi, dove ha fatto gran bottino di scorfani, di cui la stiva è ora zeppa. Quasi sulla via del ritorno, il 6 febbraio 1959, si scatena una tempesta violentissima, che si protrae per tre giorni. Rapidamente la tolda, il castello di prua e tutta la superficie della nave si ricoprono di uno spesso tratto di ghiaccio, che l’appesantisce al punto di rischiare l’inabissamento. Di fatto l’imbarcazione è trasformata n un piccolo iceberg flottante. C’è un solo modo per sperare di sopravvivere: tutta la ciurma, armata di mazze, asce, tubi d’acciaio è costretta a rompere questo castello di ghiaccio, frantumandolo in pezzi che poi vanno gettati fuori bordo per evitare un forte squilibrio di distribuzione di pesi e il rovesciamento. E’ una lotta disperata, senza soluzione di continuità, che impegna tutto il personale di bordo, costretto a sforzi sovrumani e a solo brevi interruzioni di due ore come turni di riposo. Centoventi pagine di fuoco, anzi di ghiaccio, con una narrazione intensa, secca, martellante. Solo a metà percorso c’è una breve parentesi “idilliaca”, in cui si raccontano le varie occupazioni della ciurma nella navigazione verso la zona di pesca: ottoni lucidati, pareti del ponte di comando passate a cera, pulizia generale degli alloggi. Poi la lotta contro la bufera riprende: si è quasi costretti a fare a pezzi anche il peschereccio buttando a mare le scialuppe di salvataggio, le gru per il recupero delle reti, tutto il peso superfluo che può affondare il peschereccio. Un racconto che richiama l’incubo di Typhoon di Josep Conrad e della nave Nan-Shan, incappata in una rovinosa tempesta tropicale. Battesimo di fuoco per il giovane mozzo Larus (Larus fuscus è il nome di una specie di gabbiani) il cui nome richiama il titolo del romanzo. Si legge d’infilata, quasi col fiato sospeso.
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