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Fuoco e Ghiaccio C’è chi dice che il mondo finirà col fuoco e chi col ghiaccio. Per ciò che ho assaporato io del desiderio sono con chi tiene per il fuoco. Ma dovesse perire per due volte so di sapere dell’odio a sufficienza da dire che a distruggere anche il ghiaccio va bene e basterebbe. Prossimo alla Terra Amore al labbro un tocco dolce fino all’estremo; e un tempo così sembrava troppo; vivevo d’aria che m’investiva da dolci cose, folate di... era muschio dai getti di vite nascosti sul poggio al crepuscolo? Mi davano alla testa le frasche di caprifoglio che quando colte scuotono rugiada sulle nocche. Bramavo dolcezze forti, ma quelle sembravano forti quando ero giovane; il petalo della rosa a pungermi era lui. Ora la gioia è senza sapore se non è tagliata col dolore la stanchezza, l’errore; io bramo la macchia delle lacrime, il marchio di quasi troppo amore, il dolce di un’amara scorza, di una spezia che ustiona. Quando rigida dolente e scorticata ritraggo la mano dopo averla premuta sull’erba e la sabbia non soffro mai abbastanza: io voglio il peso e la forza per sentire la terra così rozza in tutta la mia lunghezza.
Troppo poco si è pubblicato di Robert Frost, questa raccolta è un profondo profondo respiro.
Questa nuova traduzione sorprende per chiarezza e fluidità. Verrebbe da dire "troppa luce". C'è una pecca non indifferente. Ad una prima lettura sembra perdere molto dell'oscurità e del mistero tipici dei versi di Frost. Frost non è un poeta facile, è oscuro, criptico. Dispiace che alcune traduzioni perdano proprio il senso. L'effetto "troppo chiaro" stravolge il significato. Non sono un esperto del settore, esprimo il mio gusto personale, anche sulla base del confronto con altre traduzioni più datate ( De Poli, Giudici, Sanesi) che mantengono quel senso oscuro e tenebroso che qui pare mancare.
Chiarezza, compassione, gratitudine per il mistero dell’esserci, sono i tratti unificanti di questi versi, sospesi tra ansia metafisica e attenzione alla concretezza del reale, espressa nei volti e nelle azioni delle persone, nella fisicità dell’ambiente animale e vegetale. Insignito per quattro volte del Premio Pulitzer, Robert Frost (1874-1963), nato in California, cresciuto nel New England e trasferitosi nella maturità nella campagna del Vermont, dove possedeva una fattoria, dedicò l’intera esistenza alla letteratura, all’insegnamento e all’amore per la vita agreste. Nonostante le numerose tragedie che colpirono la sua famiglia, la sua poetica mantenne sempre una serenità di fondo, complice una visione incantata della natura, di cui avvertiva l’insita sacralità. Eppure, nella placidità del mondo bucolico rappresentato, non mancano atmosfere cupe, ostili, quasi stregonesche; morti violente, incidenti sanguinosi, cataclismi meteorologici e dissesti finanziari, che trovano però un riscatto e una strategica via di salvezza negli echeggiamenti delle saghe e delle ballate popolari. Robert Frost scriveva “sentimentalmente”, avvicinandosi all’oggetto della poesia con una soggettività interpretativa forse eccedente, naturalmente candida – come ritengono alcuni –, astuta e costruita, come ipotizzano altri. Era questa, tuttavia, la sua maniera di intendere non solo la poesia, ma anche la realtà materiale e spirituale ad essa sottesa. “Il bello sta nel modo in cui lo dici”, affermava, e il suo concetto di bello formale coincideva con l’armonia del dettato, da raggiungere attraverso una spontanea musicalità dei versi. Nella sua copiosa produzione, utilizzava formule tradizionali, senza ricorrere a sperimentalismi linguistici o ad astrusi stravolgimenti sintattici: le rime, la metrica, un lessico puntiglioso eppure mai appesantito, il parlato svelto e colloquiale, l’immagine precisa ma non pedantemente minuziosa.