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Perennea, città immaginaria in un futuro non troppo lontano. È una città chiusa, si può uscire solo con un permesso e nessuno vi è mai entrato. Ma è meglio così, dato che fuori, stando alle notizie che danno in televisione, vige il caos, l’inferno: guerre, epidemie, povertà, nessuno è al sicuro. Ma nemmeno a Perennea se la passano molto bene e qualcuno ha iniziato a mettere in discussione il sistema. Si incontrano, discutono, progettano un nuovo modello economico. Ma non Ivan. Lui no. Lui accetta la situazione, gli sembra che in fondo, nonostante sia senza lavoro, viva ancora coi genitori e non abbia prospettive, non si stia così male. L’alternativa proposta dal suo amico Piero non è praticabile, non ha senso. Ogni economia si basa sul denaro, sulla domanda e sull’offerta, e il pagamento non può che avvenire coi soldi, non certo con lo scambio di favori. Non si va da nessuna parte con quelli, non si può mangiare né acquistare ciò che serve. Oggi il primo prodotto, la prima cosa che viene venduta e comprata sono le persone, la nostra dignità. Io non voglio essere comprato: è un ricatto, Ivan, un brutto ricatto. Dobbiamo smettere di accettarlo. Le cose cambieranno. Gli vuole bene Piero, sono amici, cerca di mostrargli ciò che è la loro vita, ma a Ivan va bene così, non vuole cambiare. L’Agenzia, che monopolizza ogni attività e impresa all’interno di Perennea, sa quello che fa. Finalmente Ivan ha un lavoro fisso e ben retribuito. A nulla valgono le parole del suo amico: nulla è più importante dei soldi che gli permettono di vivere come vuole, comprare ciò che vuole, senza più limiti. Poco importa il genere di lavoro, lui è bravo, si impegna, segue le direttive. Finché qualcosa va storto. E allora si rende conto che quel sistema è malato, che non va bene, che annulla le persone, le schiaccia. Ma è troppo tardi. La recensione completa su chilidilibri.altervista.org
Perennea, città immaginaria in un futuro non troppo lontano. È una città chiusa, si può uscire solo con un permesso e nessuno vi è mai entrato. Ma è meglio così, dato che fuori, stando alle notizie che danno in televisione, vige il caos, l’inferno: guerre, epidemie, povertà, nessuno è al sicuro. Ma nemmeno a Perennea se la passano molto bene e qualcuno ha iniziato a mettere in discussione il sistema. Si incontrano, discutono, progettano un nuovo modello economico. Ma non Ivan. Lui no. Lui accetta la situazione, gli sembra che in fondo, nonostante sia senza lavoro, viva ancora coi genitori e non abbia prospettive, non si stia così male. L’alternativa proposta dal suo amico Piero non è praticabile, non ha senso. Ogni economia si basa sul denaro, sulla domanda e sull’offerta, e il pagamento non può che avvenire coi soldi, non certo con lo scambio di favori. Non si va da nessuna parte con quelli, non si può mangiare né acquistare ciò che serve. Oggi il primo prodotto, la prima cosa che viene venduta e comprata sono le persone, la nostra dignità. Io non voglio essere comprato: è un ricatto, Ivan, un brutto ricatto. Dobbiamo smettere di accettarlo. Le cose cambieranno. Gli vuole bene Piero, sono amici, cerca di mostrargli ciò che è la loro vita, ma a Ivan va bene così, non vuole cambiare. L’Agenzia, che monopolizza ogni attività e impresa all’interno di Perennea, sa quello che fa. Finalmente Ivan ha un lavoro fisso e ben retribuito. A nulla valgono le parole del suo amico: nulla è più importante dei soldi che gli permettono di vivere come vuole, comprare ciò che vuole, senza più limiti. Poco importa il genere di lavoro, lui è bravo, si impegna, segue le direttive. Finché qualcosa va storto. E allora si rende conto che quel sistema è malato, che non va bene, che annulla le persone, le schiaccia. Ma è troppo tardi. Ha avuto tempo e modo per ribellarsi, per non adattarsi, per tentare qualcosa di diverso, ma non lo ha fatto. E ora ne paga le conseguenze.
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