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Maurizio e Giovanni erano con Luciana figli dell'avvocato Mario Ferrara, liberale, antifascista, immerso nella dimensione di massa delle società e quindi convintamene democratico. I riferimenti erano Benedetto Croce e Giovanni Amendola, alla cui memoria il figlio minore dovette uno dei nomi (gli altri erano Giacomo e Piero). Il racconto si snoda intorno al rapporto dei due fratelli con il padre, scomparso ancora giovane nel fatidico 1956, e ai diversi percorsi che ne derivarono. Maurizio, adolescente nel periodo dell'"esilio" interno della famiglia in un borgo della campagna romana, divenne nei cruciali anni quaranta comunista e fu amministratore regionale e senatore. Giovanni, storico dell'antichità, compì l'accidentato percorso del liberalismo democratico di sinistra fino a incontrare Ugo La Malfa. Del Pri divenne quindi dirigente e poi senatore.
Dal padre generarono le due sinistre che, figlie di uno stesso ceppo pur in uno schiacciante squilibrio di forze, si fronteggiarono nell'Italia repubblicana, inesorabilmente divaricandosi. Giovanni realizzò le aspirazioni profonde del padre, dal quale attinse la passione per la storia, e realizzò un modo di intendere l'impegno politico nutrito di un intreccio indissolubile con la cultura, a Mario inibito dalla dittatura. Maurizio assunse del padre gli aspetti rimasti forzatamente incompiuti: la militanza giornalistica e la piena, orgogliosa affermazione di un'ideologia assoluta. Maurizio sembrò così trovare una piena realizzazione e un compimento del padre in Palmiro Togliatti; Giovanni in Ugo La Malfa colse il politico che operava per la democrazia dei democratici del Novecento.
Maurizio apparteneva a una forza che si avvertiva necessitata dal processo storico e che avrebbe oltrepassato quei limiti che impedivano una democrazia sostanziale. Era il comunismo. Eppure, in quest'uomo che era tutt'uno con il partito e con l'idea di società che incarnava, la crisi giunse presto. Prima con le perplessità per il compromesso storico di Berlinguer, cifra di una politica secolarizzata e perciò non amata né compresa. Gli oppose il "compromesso rivoluzionario". Poi, nella distanza crescente degli anni ottanta, quando apprezzò il realismo miope di Craxi. Infine, nella disperazione conclusiva. Il dramma di Maurizio, per il quale la moglie Marcella vide come solo possibile medico il fratello Giovanni, seguì e non accompagnò la fine dell'Urss e del comunismo. Precipitò infatti con la rovinosa caduta di ogni ipotesi di socialismo, anche di quella di Craxi e non solo della versione psiuppina del fratellastro del padre Tullio Vecchietti. Era la disprezzata civiltà borghese a incarnare le ragioni della storia. Il rivendicare la propria identità comunista si scontrava con la coscienza di avere avuto torto, a maggior ragione perché, essendo comunista, si era assolto tutt'al più a una funzione liberale e democratica. Per Giovanni l'esaurimento del mondo bipolare, della repubblica dei partiti e, con lacerazioni personali, del Pri di Malfa, fu una riflessione sulla democrazia, sull'irrisolto incontro di libertà e giustizia e sulla crescente distanza dai termini di quel binomio decisivo per ogni democratico.
Un libro bellissimo, autentico e quindi pudico, che restituisce le laiche energie morali del nostro paese, e il loro finale frantumarsi, al tormentato Novecento.
Paolo Soddu
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