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scheda di Bongiovanni, B., L'Indice 1993, n.11
Il libro è una più che opportuna ristampa anastatica dell'edizione del 1950. Opera prima dello storico napoletano dalla vita sfortunatamente troppo breve (1924-64), anticipa di tre anni la fortunata raccolta, curata dallo stesso De Caprariis per i benemeriti "Classici" Ricciardi, delle "Opere" di Guicciardini. Il primo problema consiste nell'emancipare lo stesso Guicciardini dal noto giudizio di De Sanctis, tutto incentrato sulla prosa appartata e rancorosa dei "Ricordi", sulla denuncia del "particulare" e sugli albori della lunga decadenza italiana. Guicciardini, al contrario, lungi dall'essere l'antitesi negativa del Machiavelli "risorgimentale" e "giacobino" proposto tra l'Unità e la Resistenza, si presenta come un fervido prosatore politico, dotato di un pensiero che va rintracciato nelle grandi opere di cronaca e di storia. Impegnato nell'azione, ma memore della dignità del ceto ottimatizio fiorentino, segue con preoccupazione l'ascesa del "popolo grasso" e sin dalle "Storie fiorentine" si propone, non dimentico della lezione negativa e pur commovente di Savonarola, di trovare un'alternativa allo scontro perenne tra la signoria di uno solo (o tirannide) e il governo popolare dei molti, due reggimenti in realtà contigui. La "terza forza", tanto cara all'allievo di Omodeo, esiste. Il "buono ordine" fa ricadere infatti sul senato il vero peso del governo, anteponendo la saldezza e la certezza delle istituzioni alla figura stessa del principe. La prudenza della norma ha così la meglio sui fremiti della decisione.
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