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Il libro di Staron si inserisce nell'ormai ricco filone di studi sulle stragi naziste in Italia non tanto per la ricostruzione storica dei massacri delle Ardeatine e di Marzabotto - Monte Sole (cui è dedicato il primo capitolo), quanto per le relazioni che stabilisce fra le vicende giudiziarie dei criminali di guerra tedeschi e l'"opinione pubblica" in Italia e in Germania (inizialmente quella federale).
Per quanto riguarda specialmente la Roma del marzo '44 si avverte la mancanza di un esame del contesto di occupazione e a questa si può forse far risalire la ripartizione, "classica" ma ormai superata, degli italiani in collaborazionisti, attendisti e resistenti armati, insieme con il giudizio secondo cui, per il movimento partigiano romano, "lo scopo dell'attentato di via Rasella era in realtà quello di provocare una rappresaglia". Potrebbe accreditarsi l'idea di quei mesi come di una "guerra regolare" anziché di una "guerra totale" o di una "guerra ai civili", come ormai i nuovi studi, italiani e tedeschi, hanno dimostrato.
Il libro acquista un respiro storico nei successivi due capitoli, l'uno dedicato ai processi ai criminali nazisti, l'altro alla loro ricezione nei due paesi per un arco temporale che va dall'immediato dopoguerra fino al terzo processo Priebke (1998). Qui le fonti sono di prima mano e, accanto ai faldoni processuali, sono presi in considerazione documenti interni ai vertici amministrativi e governativi italiani e tedeschi e soprattutto alcune testate giornalistiche.
Più che una storia degli anni 1943-1945 è dunque una storia del periodo 1945-1998 che ci viene offerta da Staron, e in essa sono rilevanti le relazioni internazionali (in particolare negli anni della guerra fredda) e i rapporti italo-tedeschi. Un aspetto di sicuro interesse riguarda i rispettivi stereotipi nazionali, la loro recrudescenza in alcune situazioni, il loro addolcimento o superamento in altre. Solo negli anni novanta ci si sarebbe del resto lasciati alle spalle l'immagine negativa dell'"altro": ossia gli italiani giudicati dai tedeschi dei "traditori" e dei "vili"; così come i tedeschi giudicati dagli italiani come dei "brutali" e dei "violenti". Significativa la ricezione in Germania della cinematografia italiana degli anni sessanta, specialmente del film di Nanni Loy Le quattro giornate di Napoli, e parimenti significative le reazioni in Italia alla fuga di Kappler nel 1977.
Due sono comunque i miti che a parere di Staron avrebbero costituito, fino agli anni ottanta, l'ossatura portante dell'"opinione pubblica" dei due paesi: per la Germania federale il mito della Wehrmacht pulita, per l'Italia il mito della Resistenza. Più convincente è il primo, che si sviluppa soprattutto grazie alla scarcerazione di Kesselring nel 1952: si potrebbe parlare di un "caso Kesselring" e dell'idea, che esso diffonde, della campagna d'Italia condotta in forme "leali" e "cavalleresche". Se il libro di Kuby del 1982 sul Tradimento tedesco rovescia l'immagine tradizionale del tradimento italiano, sarà dal 1990 che si metterà in discussione il mito della condotta onorevole della guerra in Italia e si parlerà di guerra contro la popolazione civile, grazie agli studi di Schreiber, Andrae e Klinkhammer.
Meno convincente è il mito della Resistenza come comune denominatore dell'opinione pubblica italiana dal 1945. Tale giudizio è forse dipeso dalle testate giornalistiche scelte per l'analisi ("Avanti!", "Corriere della Sera", "La Stampa", "L'Unità"), di sinistra o, se moderate, comunque legate a un Nord che possiamo definire ciellenistico (almeno fino alla seconda metà degli anni ottanta). L'assunto del mito della Resistenza viene del resto rettificato dallo stesso autore, nel prosieguo dell'indagine, davanti a discorsi di esponenti governativi o di capi di stato (ancora, per esempio, Giovanni Leone nel 1975). O anche davanti a brani di altri quotidiani o settimanali ("Il Tempo", "Il Popolo", "Gente") ripresi dai giornali consultati e in cui quel mito è largamente contraddetto.
Il fatto che siano le Fosse Ardeatine a costituire un "luogo della memoria" nazionale, à la Pierre Nora, anziché Marzabotto (relegata a una commemorazione regionale, che solo nel 1961 avrà il suo monumento e che alle soglie degli anni ottanta deve ancora restaurare i luoghi del massacro), può essere significativo della debolezza del mito della Resistenza o della sua solo parziale diffusione nazionale. Per Marzabotto, infatti, si stabiliva allora una relazione con la presenza partigiana e non si poteva commemorare il massacro senza commemorare la Resistenza, mentre per le Ardeatine la non condivisione dell'attentato gappista di via Rasella sganciava la strage dalla Resistenza, e si poteva anzi commemorare la strage denunciando al contempo la Resistenza. Il libro di Alessandro Portelli sulla memoria del 23 e 24 marzo '44 (L'ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Donzelli, 1999) è d'altra parte indicativo al riguardo.
Dianella Gagliani
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