Alla fine degli anni Sessanta, un ragazzo francese mezzo avventuriero e mezzo canaglia, spavaldo e senz'arte né parte, si lancia nel suo 'grand tour' verso l'Oriente dei paradisi artificiali: Beirut, Istanbul, Bombay, Katmandu. Sarà un anno vissuto pericolosamente, nel quale Charles Duchaussois sbarcherà il lunario con ogni mezzo e, soprattutto, proverà ogni genere di droghe, fino a ritrovarsi sull'orlo del baratro. Un incredibile racconto autobiografico che è diventato un testo di riferimento della controcultura hippie, ritratto di un'epoca e testimonianza di un'intera generazione. Un libro che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. Le droghe alla fine degli anni Sessanta sono un mondo intero in cui il quasi trentenne Charles Duchaussois si catapulta innanzitutto come venditore. Ha il physique du rôle - è orbo (ha perso un occhio a quattro mesi per la scheggia di una bomba) e sfregiato in faccia - e una certa tendenza al rischio e alla delinquenza, un gusto estremo per le sfide, lecite o meno, e per l'avventura. Dalla Francia al Libano, dal Libano alla Turchia, dalla Turchia all'Afghanistan, al Kuwait, all'India, al Nepal, una serie di peripezie degne di un romanzo picaresco porteranno il ragazzo che la sapeva più lunga di tutti a incontrare trafficanti, hippie e ambasciatori e a sperimentare hashish, oppio, morfina, eroina, Lsd, anfetamine, fino al bordo della follia e della morte. Né apologia, né testimonianza intrisa della vergogna del pentito, questo "viaggio al termine della droga", come lo ha definito il suo autore, racconta in prima persona l'estasi e i disastri del 'grande viaggio' interiore e di quello attraverso il mondo in un'epoca in cui i giovani occidentali andavano a giocare col fuoco dell'Oriente. Un'esperienza ad altissimo rischio, alla fine della quale l'autore riuscirà solo per miracolo a riprendersi la vita.)
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