Circa due anni fa, Rosaria, la moglie di Giorgio, mi aveva parlato di un diario scritto da lui durante la malattia. Di esso vi era solo una cattiva stampa dal computer. Ma né Rosaria, né i suoi figli erano prima riusciti a farne una lettura. Perché? Penso che i motivi fossero parecchi. Questi fogli non avevano alcun ordine, spesso tanti brani nella stampa erano ripetuti e poi i fogli erano di diverse lunghezze, stampati con una stampante a rullo di carta, come si usava una volta, e tagliati fra di loro a caso Ho detto a Rosaria: voglio provare a vedere se ne posso cavare qualcosa; ti darò una risposta fra qualche mese. La mia risposta fu affermativa, sarei andato avanti, anche se non sapevo bene come si potesse dare un ordine. Avevo capito però che mi trovavo di fronte ad uno scritto di notevole valore umano. Procedendo, ho maturato due convinzioni. La prima, che si trattava di uno scritto di Giorgio, diverso dagli altri già pubblicati in precedenti volumi. Qui Giorgio è rivolto soprattutto ad indagare sé stesso; la sincerità è totale; sembra poi che, arrivato nel pieno della sua malattia, egli voglia anche chiedere scusa agli altri se si è presentato in un modo più esemplare rispetto a quello che era nella realtà; e così, oltre alla sua malattia, egli prova a descrivere i suoi problemi, le sue mancanze, le sue difficoltà. Guarda a sé stesso, ma nello stesso tempo pensa agli altri che potranno leggerlo. Era da escludere la possibilità che si trattasse di un diario personale scritto, come tanti diari, solo per sé. Anche perché, e così matura la seconda convinzione, egli certamente pensava che stava scrivendo per aiutare altri a conoscere meglio la malattia e a combatterla: quelli che si trovano nella sua stessa condizione, coloro che si occupano del problema o che vogliono seguire gli ammalati, i familiari, gli operatori sanitari, i volontari. Il diario era pensato, cioè, per essere pubblicato. Infatti, all’inizio si può leggere il suggerimento di Nuccia, che egli seguirà, di scrivere il libro, anche perché “potrebbe aiutare qualcuno ad affrontare il morbo di Parkinson nel modo più sereno possibile”; in altri brani, ripete più volte l’idea della pubblicazione del diario; e nelle ultime pagine Giorgio scrive: “ci sto provando e questo libro è una delle espressioni concrete di questi tentativi” e poi: “Il libro comunque finisce qui o quasi”. In pagine centrali parla di: “Bergamasco, che ormai mi ha in cura da una decina di anni e al quale ho richiesto la graditissima prefazione a questo lavoretto”.
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