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Nuova, ottima edizione della classica disputa epistolare del Quattrocento italiano tra Pico della Mirandola ed Ermolao Barbaro, pubblicata nel 1952 da Garin – ma già il Burckhardt ne aveva compreso l’importanza – e a lungo interpretata come espressione autentica di un dissidio antico (platonico, almeno) tra filosofia e retorica: tra Pico, che parla per bocca di un filosofo "barbaro" sostenitore della filosofia come pura ricerca della verità e denigratore della retorica come simulazione del reale a scopo persuasivo ottenuta con artifici verbali, e Barbaro, difensore del primato dell’eloquenza classica sulla mera speculazione. Questa schematica opposizione, però, non resiste a una lettura più attenta, che mostra il carattere volutamente anfibologico della lettera di Pico: il suo attacco alla retorica, infatti, è portato con gli strumenti più raffinati della retorica stessa. L’incoerenza tra mezzi e fine, o tra forma e contenuto, induce a pensare che Pico volesse in realtà dimostrare la contradditorietà della posizione di chi, al fine di sminuire l’eloquenza, è costretto a far uso dell’eloquenza stessa. L’ambiguità è smascherata proprio dal suo avversario, che argutamente riconosce, nella apparente difesa della filosofia, un’abile celebrazione della retorica. I Sileni di Alcibiade, elevati a simboli dei tesori della ricerca filosofica nascosti sotto umili parole, assomigliano piuttosto all’eloquenza di Pico, che si colloca in quello spazio tra apparenza e realtà che rende possibile il discorso retorico. Pietro Ciuffo
scheda di Ciuffo, P. L'Indice del 1999, n. 05
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