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Filologia della letteratura Italiana - Pasquale Stoppelli - copertina
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Filologia della letteratura Italiana - Pasquale Stoppelli - copertina
Filologia della letteratura Italiana - Pasquale Stoppelli - 2

Descrizione


Come si sa, il fine prioritario della filologia è di riportare il testo alla forma più vicina alla volontà dell'autore. A un manuale di filologia italiana si chiede anzitutto di insegnare i metodi e le tecniche di base di quest'arte in relazione alle opere della nostra letteratura, ma anche di raccontare le vicende che hanno contraddistinto il loro farsi, i modi della produzione degli oggetti materiali (manoscritti e stampe) che le hanno trasmesse. La lettura di un testo letterario richiede sempre attenzione, pazienza, capacità di osservazione. La grande letteratura non si consuma in fretta: è un gioco continuo di scoperte, di conoscenze. Ma per riuscire in questo sono necessarie competenze tecniche, senso della storia, consapevolezza che lo studio della letteratura fa i conti per prima cosa con la testualità, poi con le teorie e le ideologie.
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Dettagli

2008
Libro universitario
201 p., Brossura
9788843047239

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Chiaro, semplice, diretto, ma sempre esaustivo e completo per una formazione di base.

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Voce della critica

Secondo una suggestiva e paradossale aporia di Borges, "il concetto di testo definitivo appartiene unicamente alla religione o alla stanchezza" (Versioni omeriche). In verità, solo in rari casi il rapporto tra lo scrittore e il testo si chiude in maniera definitiva. La filologia, com'è noto, si colloca nello spazio aperto di questo rapporto, cercando di riportare il testo alla forma che si presume possa essere la più vicina alla volontà dell'autore, con la consapevolezza tuttavia che, nella cronologia creativa, l'"ultima volontà" dell'autore (la forma in cui egli ha voluto che il suo testo fosse licenziato) può non corrispondere ai nostri parametri estetici e di giudizio.
Un caso esemplare: l'unica forma approvata da Tasso per il suo poema è quella della Gerusalemme conquistata (1593) e non quella della Liberata che, a partire dal 1581, conobbe una tradizione a stampa non autorizzata dal poeta, e che tuttavia ha sancito la fortuna del poema, anzi il suo destino di "classico" della letteratura non solo italiana. In ogni caso, l'accertamento dell'"ultima volontà" dell'autore diventa un complesso processo investigativo quando la tradizione testimoniale di un'opera debba essere esaminata e ricostruita nei suoi interni rapporti genetici e relazionali, secondo procedure rigorose, in parte riconducibili al metodo elaborato dal filologo tedesco Karl Lachmann (1793-1851), e che sono appannaggio della critica del testo e dell'ecdotica. L'esito editoriale di tale attività di restauro testuale è l'edizione critica.
Nell'ultimo secolo e mezzo, una consolidata trattazione specialistica ha posto le fondamenta teoriche e metodologiche delle diverse specializzazioni della disciplina, a seconda delle tipologie testuali, delle epoche, delle lingue e dei supporti di trasmissione esaminati (filologia testamentaria, classica, romanza, dei testi a stampa ecc.). La filologia italiana, che studia i testi in lingua italiana o in uno dei dialetti parlati in Italia, è disciplina che, solo in tempi recenti, si è affrancata negli ordinamenti didattici dall'insegnamento della letteratura italiana e della filologia romanza, e ha prodotto una qualificata manualistica, a cui va aggiunto il recente volume di Pasquale Stoppelli, la cui novità non è solo editoriale.
Innanzitutto, perché le finalità didattiche del volume sono confortate da una ricca e argomentata esemplificazione e dalla scelta di un registro linguistico e stilistico non riservato agli iniziati, che non indulge deliberatamente a gratuiti tecnicismi. Quindi, perché il libro accoglie, in due specifici capitoli, alcune tematiche di frontiera per il filologo tradizionale: vale a dire la filologia dei testi a stampa e la filologia nell'era dei computer, per la cui teorizzazione e divulgazione in Italia molto si deve a Stoppelli. La prima, che riprende in un'accezione più ampia la formula di textual bibliography, elaborata e messa a punto dalla filologia volgare inglese negli studi sulla tradizione a stampa shakespeariana, indica la "specificità del metodo filologico quando i testi sono trasmessi da stampe o da stampe e manoscritti indipendenti" e studia le alterazioni (interventi correttori, varianti ecc.) che essi subiscono nel corso della tiratura. Proprio a Stoppelli si deve la raccolta dei più significativi saggi teorici e metodologici della critica filologica anglo-americana, che uscì nel 1987 con il titolo per l'appunto di Filologia dei testi a stampa, e che oggi viene peraltro riproposta in una nuova edizione aggiornata (Cuec, 2008).
Forte poi dell'esperienza sul campo, maturata con la direzione della Liz (Letteratura Italiana Zanichelli, una base dati, com'è noto, che raccoglie in cd-rom mille opere della letteratura italiana, affiancate da un motore di ricerca finalizzato a indagini e operazioni di linguistica computazionale), Stoppelli prende posizione netta nel dibattito (in verità più su base teorica che applicativa) circa l'impiego delle nuove tecnologie alla pratica filologica, di cui l'autore non nega l'utilità strumentale. Le tecnologie informatiche e quelle ipertestuali consentono di sfruttare le potenzialità della lettura non sequenziale e la rappresentazione del testo nella sua evoluzione diacronica e sincronica (genesi, redazioni, revisioni, varianti ecc.): il testo viene così proiettato nella sua naturale pluralità e il computer, superando la bidimensionalità della pagina a stampa, offre la possibilità di visualizzare e mettere in relazione i diversi sedimenti e le stratigrafie che lo compongono e lo raccontano. Basti ricordare la pregevole iniziativa editoriale, curata e diretta da Jerome McGann, il Rossetti Archive (www.rossettiarchive.org), un archivio ipermediale che raccoglie il corpus delle opere del preraffaellita Dante Gabriel Rossetti (testi, quadri, disegni ecc.) in un fitto reticolo di relazioni intertestuali e contestuali.
Ciò di cui invece dubita Stoppelli è che le nuove tecnologie possano modificare in certo qual modo lo statuto originario della filologia: "Finalizzare il far filologia a un'operazione formale di restauro, senza riconoscere contemporaneamente il ruolo fondamentale che la ricerca storica e l'ermeneutica hanno in questo processo, è riduttivo". Insomma, per quanto le nuove tecnologie possano sviluppare sofisticati sistemi di inferenza semantica, esse non potranno sostituire il filologo nell'attività critica che è al centro di quella filologica, e la cui qualità si misura dalla capacità persuasiva delle argomentazioni che la sostengono. Attività soggettiva e non oggettiva: "Facendo salvi alcuni (pochi) principi di ordine generale, l'operare filologico consisterà nel trovare empiricamente e con la maggiore coerenza possibile la soluzione più logica, argomentando le proprie ipotesi sulla base dei dati disponibili, nella consapevolezza dell'incertezza e provvisorietà dei risultati". L'"economicità" e la "probabilità" delle soluzioni adottate sono criteri metodologici non altrimenti delegabili, perché mettono in corto circuito differenti e complessi codici culturali, quello dell'autore e quello del filologo.
E siamo così giunti al nucleo del libro. "Al concetto di filologia è strettamente legato quello di critica" scrive Stoppelli: la novità non è nell'affermazione in sé, ma nel fatto che essa sia il cuore palpitante del suo libro. Il "restauro" di un testo antico è (al di là delle operazioni meccaniche necessarie a tal fine) un atto interpretativo, che attiva molteplici competenze (letterarie, linguistiche, bibliografiche, paleografiche, storiche ecc.). I saperi della filologia e quelli della critica sono vasi comunicanti, che chiedono al suo cultore il respiro lungo del pensiero. "Che cosa è leggere?" si chiedeva Friedrich Schlegel nelle sue note Zur Philologie. "Manifestamente un atto filologico". Alla sua lapidaria risposta sembra far eco il magnifico frammento "aurorale" di Nietzsche, posto da Stoppelli in esergo al suo manuale: "Filologia è quella onorevole arte che esige dal suo cultore soprattutto una cosa, trarsi da parte, lasciarsi tempo, divenire silenzioso, divenire lento, essendo un'arte e una perizia da orafi della parola, che deve compiere un finissimo attento lavoro e non raggiunge nulla se non lo raggiunge lento"; la sua necessità risulta tanto più evidente – dice Nietzsche con sconcertante modernità – in epoche segnate dalla "fretta" e dalla superficialità, a contrastare le quali la filologia offre un esemplare modello etico e didattico: insegnare "a leggere bene, cioè a leggere lentamente, in profondità, guardandosi avanti e indietro, non senza secondi fini lasciando porte aperte, con dita ed occhi delicati".
Attenzione, lentezza, delicatezza, silenzio: in questa sequenza è la cifra dell'attività intellettuale. La filologia diviene in questa accezione ampia un habitus mentale, un modo d'essere, un esprit (per dirla con il grande filologo francese Joseph Bédier). L'ascolto lento è condizione per cogliere la discontinuità della vita (redazioni, correzioni, ripensamenti ecc.) e il tempo plurale (copisti, correttori, revisori ecc.) che è dietro ogni testo. "La distanza cronologica è sempre distanza culturale. Ma paradossalmente possono anche esserci dei vantaggi a guardare da lontano: la distanza potrebbe essere rivelatrice di significati nuovi mai prima percepiti": dietro questa affermazione di Stoppelli sembra emergere un duplice, e solo apparentemente contraddittorio, modello storiografico: quello "eucronico", che interpreta il passato con le categorie del passato, e quello "anacronistico" (come direbbe Georges Didi-Huberman), che fa emergere lo spessore delle memorie multiple e dei tempi eterogenei, che è nella storia di ogni opera letteraria.
In un'epoca di deriva del sistema formativo e di critica dei valori del sapere, questo libro introduce "semplicemente" all'esercizio filologico del pensiero.
Gianfranco Crupi

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Conosci l'autore

Pasquale Stoppelli

ha insegnato Filologia della letteratura italiana alla Sapienza di Roma. Su Machiavelli ha pubblicato: La “Mandragola”: storia e filologia, Roma 2005 e Machiavelli e la novella di Belfagor. Saggio di filologia attributiva, Roma 2007. Ha inoltre curato le seguenti edizioni di testi machiavelliani: Mandragola, Milano 2006; Teatro. Andria, Mandragola, Clizia, Roma 2017 (Edizione Nazionale delle Opere di Machiavelli) e nelle nostre edizioni Commedia in versi. Da restituire a Niccolò Machiavelli (2018).

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