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Lombardi, Francesco (a cura di), Fra cinema e musica del Novecento: il caso Nino Rota, Olschki, 2000
Borin, Fabrizio (a cura di), La filmografia di Nino Rota, Olschki, 1999
recensioni di Calabretto, R. L'Indice del 2000, n. 12
Nel suo necrologio per la scomparsa di Nino Rota, Michelangelo Zurletti, in riferimento alla musica del compositore ritenuto da tutti come l'inattuale del ventesimo secolo, invocava il beneficio del dubbio. Per chi, come lui, a lungo aveva pensato di possedere la certezza del rifiuto, questo atteggiamento assumeva un particolare significato, in quanto rivalutava la produzione di uno dei grandi maestri del Novecento italiano. Un maestro atipico, certo, che conosceva benissimo la musica del suo presente ma che non l'accettava, perché, dice Zurletti, "conservava una fiducia illimitata nel gioco, nel divertimento musicale, nel piacere dell'organizzazione dei suoni secondo un'eufonia antica". Pochi, a distanza di vent'anni dalla morte, avrebbero scommesso che sarebbe rimasta qualche traccia del suo catalogo. Rota sarebbe sopravvissuto certamente come compositore di colonne sonore, grazie alle preziose collaborazioni che nel corso della sua vita ebbe con Fellini, innanzitutto, e poi con Visconti, Zeffirelli, Castellani, Soldati e, soprattutto, grazie all'Oscar conseguito con Il padrino di Coppola. Ma del compositore di concerti, musica da camera, musica sacra e via dicendo cosa sarebbe rimasto? Pressoché nulla. Oggi, contrariamente a queste previsioni, vediamo come la musica di Rota venga sovente incisa ed eseguita in festival e rassegne musicali. Un fatto rilevante, che conferma come Rota componesse musica indistintamente per il teatro, le sale concertistiche e per il cinema con il medesimo impegno e con lo stesso atteggiamento, secondo una visione strettamente artigianale dell'atto compositivo.
Queste considerazioni vanno fatte nel salutare la pubblicazione dei due interessanti volumi che Olschki gli ha dedicato nella veste di compositore di musica per il cinema. Non a caso, il primo di essi, curato da Francesco Lombardi, custode della memoria del musicista e segretario dell'Archivio Rota alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia, s'intitola Fra cinema e musica del Novecento: il caso Nino Rota. Lombardi stesso, nella sua pregevole introduzione al volume, che via via raccoglie sezioni di diari, lettere, critiche e recensioni sottolinea come Rota, arrivato al cinema "forse per necessità forse per caso" negli anni trenta, avesse già scritto allora molte opere che gli avevano procurato soddisfazioni nell'ambito della musica di tradizione colta. Certo, a un preciso momento della sua vita il cinema assorbì quasi interamente le sue energie, ma in lui fu sempre presente l'anelito a comporre musica d'ogni genere e, com'è noto, a dedicare un'altra parte consistente del suo tempo all'insegnamento al Conservatorio di Bari, di cui fu per lungo tempo direttore.
È d'obbligo, a questo punto, andare a un altro necrologio riportato nel testo, magistrale e commovente, scritto da Fellini, che all'"amico magico" dedicò un lungo articolo pubblicato nel "Messaggero". Solo Federico poteva cogliere "l'immaginazione geometrica" dell'amico, la sua "visione musicale da volta celeste, per cui non aveva bisogno di vedere le immagini dei [suoi] film". Le ragioni della funzionalità della musica di Rota al cinema di Fellini nasceva, infatti, proprio da questo presupposto e, paradossalmente, dal suo voluto distacco dalla vicenda filmica. Sempre Fellini era consapevole del mondo interno del musicista, dove la realtà aveva scarsa possibilità d'accesso. Rota era un personaggio magico che "passava, scivolava fra le cose": anche in questo sta il segreto della sua musica che sembrava provenire da zone misteriose dell'immaginazione. Nell'antologia edita da Olschki, accanto ai saluti che costellano le pagine finali, troviamo molti momenti dedicati al diario di Ernesta Rota Rinaldi dove, sviste ed errori a parte, si trova la chiave per cogliere stati d'animo vissuti dal figlio sin dal suo primo ingresso alla Lux Film, in balia di "volponi sopraffini" come Guido Gatti, che invitano il giovane a rinunciare ai diritti d'autore che invece gli spettavano. La parte più interessante del volume, però, è quella dedicata alle recensioni che hanno accompagnato l'attività di Rota. Dalle molte "stroncature" di Pestalozza, che critica il riferimento agli elementi popolareschi presenti in alcune sue colonne sonore e che in definitiva giudica questa musica come "merce", si passa agli apprezzamenti rivoltigli da tanti altri, come Savinio, che lo ritiene "il più musicale dei musici" ch'egli abbia conosciuto.
Il secondo volume, curato da Fabrizio Borin, ripercorre la filmografia rotiana offrendo ben 158 schede di film per cui Nino Rota compose le colonne sonore. Si tratta, anche in questo caso, di un volume di importanza capitale che pone fine alle tante filmografie lacunose compilate frettolosamente in pubblicazioni precedenti. Questi primi due volumi della collana "Studi dell'Archivio Nino Rota" della Fondazione Cini, in definitiva, aprono una riflessione scientifica sull'operato di un musicista spesso sminuito, se non ridicolizzato, da precedenti lavori interamente giocati sull'aneddotica o sui luoghi comuni che ne hanno accompagnato l'esistenza.
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