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Questo è un libro presuntuoso e brutto. Usa vari linguaggi senza raccontare un bel niente, a parte il narcisismo insopportbile del protagonista.
Occhio, quel sorriso è falso di FILIPPO LA PORTA (Il Messaggero, Lunedì 12 Giugno 2006 pag. 23) LO SAPEVATE che dei 19 sorrisi di cui è capace l’essere umano solo uno è autentico, nel senso che esprime una gioia vera? E si riconosce infallibilmente per una precisa caratteristica: coinvolge il muscolo orbicolare dell’occhio (muscolo che quasi nessuno riesce a contrarre a piacimento). Una informazione così preziosa la ricavo da un libro atipico e spiazzante: Il film delle emozioni di Raffaele Calabretta (Gaffi editore, 202 pagine, euro 12). Appartiene a quella letteratura di confine che mescola generi e registri diversi: romanzo, autobiografia, saggio di divulgazione scientifica, diario, ma anche manuale sull’arte del vivere... E’ un anno della vita di Gabriele, che, proprio come l’autore, viene dal Profondo Sud, ha 40 anni e fa il ricercatore al Cnr; e anzi lavorando sulla simulazione al computer del cervello umano ha potuto ricostruirne in parte il funzionamento (perciò Calabretta è stato anche invitato a Yale). Ci si affeziona quasi subito a Gabriele, alla sua ansiosa fragilità e testardaggine di provinciale immigrato a Roma, ai suoi tanti e velleitari propositi di migliorare la propria esistenza: è al tempo stesso vigile e spaesato. Non gli mancherebbe nulla - bell’aspetto, carattere socievole, matrimonio riuscito, gratificazioni professionali - ma si sente insoddisfatto, demotivato e non sa perché. Iscrivendosi a un corso di yoga scopre di aver respirato male per 40 anni. Ogni mattina fa jogging allungando il tempo della corsa, convinto che il movimento “contrasta la perdita di neuroni dovuta alla depressione”. Ed è soprattutto ossessionato dalle emozioni: intende capire come funzionano e come si formano, quali sono le loro regole, attraverso quali tecniche si possono gestire, quali effetti hanno sul nostro benessere e sui nostri processi di ragionamento. Non ha una vera struttura romanzesca però si può leggere anche come un romanzo del nostro tempo, frantumato, ipertestuale e lievemente autistico
Esiste il meticciato in letteratura e veleggia indisturbato.Non alludo agli chicanos ma al salto libero tra modi i più disparati della scrittura per cui narrare non è dare una forma unificante a una materia ma è lasciarla proliferare nelle sue proprie forme dando mostra e miracolo di sé. L'andamento rapsodico tra finzione e realtà, anzi più radicalmente l'incursione potente della realtà nel regno generalmente prerogativo delle finzioni - non solo sono smascherati, direi nevralgicamente esposti, ma diventano percorsi di deambulazione, zone di educazione aristotelica lungo cui autore e lettore si accompagnano e insieme guardano e discutono lo stesso metodo di narrazione - consapevolmente. Il risultato è qualcosa di mostruoso, in senso metastasico e pantagruelico. E' proprio il caso di questo libro di Raffaele Calabretta il quale è studioso (CNR) dei meccanismi cerebrali, curioso delle sinapsi, delle connessioni tra cervello e elaborazioni. La stranezza è lo stile compilativo, la campionatura di modi vari della registrazione quasi annalistica su scala personale, e mentre l'impressione è quella di una scrittura diaristica articolata attraverso sms, email, files eccetera più profondamente si assiste alla ricostruzione del diario come vita scritta e anche al rilevamento dell'elaborazione scritta di tutto ciò che concepiamo e irresistibilmente diciamo a noi stessi nel pensiero grazie agli strumenti offerti dai sistemi operativi. Perciò scrivere senza posa come svolgendo una funzione automatica e compulsiva sembra essere al di là di tutto la vera rivelazione che emerge da questo libro: la provvisorietà e la precarietà sminuzzata, direi la minutaglia narratologica che prepotentemente salta fuori e come tale in confronto alla forma romanzo apparirebbe come l'evidente limite del libro è superata, anzi riscattata e si acclara come forma in questo caso ideale forse univoca nell'evidenza che in questo film/coacervo le emozioni sono un freddo oggetto per l'appunto guardato, osservato. Frankenstein ne è il vero autore?
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
"Quel che compriamo è anche una risposta alle emozioni che proviamo di fronte a un oggetto bello, a qualcosa che concretizza un nostro sogno, piccolo o grande; ma come comprendere le emozioni? Raffaele Calabretta, ne Il film delle emozioni, con l'espediente della prima persona dedicata ad un protagonista preda di attacchi di panico e che alterna ricerca scientifica in campo cognitivo ed attività letteraria propone uno zibaldone composto da email, da appunti, dal copione per un film, il tutto congelato nei file di un computer che via via il libro apre davanti ai nostri occhi, conducendoci nella direzione delle emozioni, anche provocandole nel lettore. Si tratta insieme di un romanzo, con esperimenti di forma e linguaggio, e di un testo di divulgazione scientifica: si passa così dalle emozioni del protagonista alla riflessione tecnica sulla simulazione dell'evoluzione degli organismi, alla psicologia cognitiva, ad esempio con il riconoscimento degli stati prodotti dai monologhi interiori che si attivano, spesso automaticamente, nella nostra mente. Non sto suggerendo a chi si occupa di marketing di studiare le emozioni, già quei personaggi pretendono di sapere troppe cose su di noi; sto anzi proponendo a tutti noi di riconoscere le emozioni collegate alle nostre scelte e alle nostre preferenze in campo economico. E' un bell'esercizio e la lettura (e rilettura anche casuale, come chi salta da un file all'altro del suo computer) del libro di Calabretta ci aiuta in quella direzione."
(Pietro Terna - Università degli Studi di Torino, L'Indice dei Libri)
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