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Una raccolta divertentissima che consiglio se volete qualcosa di leggero. Tutti racconti scritti in modo eccellente ma una nota di merito va a quelli di Raimo e Piccolo.
Un'ottima occasione per scoprire scrittori italiani che ignoravo e che invece risultano brillanti e stilisticamente impeccabili. Alcuni racconti sono talmente riusciti che si ride e ci si affeziona ai personaggi pur in un così breve giro di pagine. Spiccano naturalmente Piccolo e De Silva, che stimavo già, Trevi e Pascale sono invece una fantastica scoperta. Sottotono e fastidioso Ammaniti, che poi è proprio il curatore della raccolta. Un libro da regalare!
Allora; se queste sono le figuracce io farei meglio a scavarmi una buca e seppellirmici dentro. È chiaro che le figuracce sono soggettive, quanto meno ciò che per me è umiliante può non esserlo per altri. E questo è ovvio. Fatta questa considerazione sul titolo e quindi sull'aspettativa di lettura, confermo il mio giudizio su Diego Da Silva che rimane uno scrittore geniale. Particolarmente divertente Paolo Giordano mentre per Ammaniti, ancora una volta, dio ci scampi da tutto quel surrealismo che in questo libro ha dato il peggio di sé. Uomini che diventano conigli che in braccio ad altri uomini tornano uomini. Straparla. Anzi, strascrive. Allucinato. Ma di quelle allucinazioni che mentre leggi ti solletica un po' il collo e provi tanto, ma davvero tanto, imbarazzo.
Recensioni
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“Quando fai una figuraccia ti si imprime per sempre nella memoria e lì rimane a ricordarti chi eri, che facevi e come sei cambiato, un po’ come le cicatrici che ci testimoniano che il passato non è solo un parto folle della nostra mente”. È Nicolò Ammaniti a introdurre, a modo suo, il tema di questi racconti insoliti.
Sono tutti scrittori del panorama italiano, tutti uomini e una sola donna, a confrontarsi con questo difficile compito, quello di “confessare”, forse per la prima volta, le loro più tremende figuracce, in ambito letterario ovviamente. L’idea, a detta di Nicolò Ammaniti, risale ad una calda serata romana di fine estate, quando, per varie ragioni, un gruppo di scrittori si ritrova intorno al tavolino di un bar a snocciolare aneddoti curiosi sulla difficile vita da scrittore. Tra di loro Elena Stancanelli, Diego de Silva, Paolo Giordano, Antonio Pascale, Francesco Piccolo, Christian Raimo e Emauele Trevi. Come capita in questi casi, forse grazie all’euforia data da un bicchiere di troppo, inizia il solito rituale in cui ciascun commensale inizia a raccontare la sua esperienza fallimentare e indicibile, pretendendo puntualmente di aver fatto la figura peggiore di tutti gli altri.
Scopriamo in questo modo, leggendo la divertente premessa di Nicolò Ammaniti, non solo i retroscena dell’opera, ma anche i due pilastri su cui si basa la fenomenologia della figuraccia: primo, le figuracce sono qualcosa di assolutamente relativo. Quello che per qualcuno, magari più timido degli altri, può sembrare la fine del mondo, il baratro della sua vita sociale, l’abbrutimento, per un osservatore che non sia coinvolto è solo un piccolissimo inciampo. Gli adolescenti sono un esempio fulgido di questa verità: secondo loro l’ottanta per cento dei gesti della vita quotidiana, come chiedere un’informazione per strada o andare a comprare un pacco di patatine, è una “figura di merda”. La seconda verità assoluta è che non esiste la figuraccia se quando la facciamo siamo soli. Anche la caduta rovinosa o la gaffe più imbarazzante non ha alcun effetto se non ci sono gli astanti ad osservare (e registrare, e sparlare, e tutto il resto delle azioni che il malcapitato immagina possano avverarsi dopo la figuraccia).
Partendo da questi due assiomi è interessante addentrarsi nella lettura del libro per scoprire in che misura, ciascuno di questi scrittori, abbia percepito, affrontato e magari superato, le peggiori figuracce della sua vita. Il primo racconto Tutta la vita a Berlino di Francesco Piccolo è sì, un siparietto divertente che riguarda la vita dello scrittore (con la partecipazione straordinaria di Nicolò Ammaniti) ma non è quello che si possa dire propriamente una figuraccia. Almeno non ci sembra. Forse perché, come sostiene l’autore, chi come lui ha dovuto combattere contro l’acne giovanile durante l’adolescenza e ha superato quel fatidico periodo della vita rimanendo illeso, sarà immune dalle figuracce per tutta la vita. Con il racconto di Francesco Piccolo siamo quindi al grado zero della situazione imbarazzante. Dal lato opposto invece strabuzziamo gli occhi al racconto di Christian Raimo che, se fosse davvero tutto autobiografico, avrebbe senza dubbio guadagnato il podio delle peggiori cose mai sentite sull’argomento. Nel mezzo, tra questi due opposti, ci sono mille sfumature di imbarazzo, dalla derisione pubblica a mezzo stampa al dileggio privato, dalla perdita della faccia plateale all’azzeramento dell’autostima.
Una lunga catena di piccole o grandi macchie, comunque indelebili, tutte legate a quella incredibile giostra mediatica alla quale sono costretti gli scrittori quando la fama inizia a avanzare nei loro cieli, fino ad allora presumibilmente limpidi. Il banco di prova per tutti o quasi gli scrittori che si sono cimentati in questa raccolta, è il famigerato giro promozionale da fare nelle librerie, in tv, ai festival, nelle gite organizzate dopo la pubblicazione del primo vero romanzo. L’improvvisa fuoriuscita dall’ombra e l’attenzione mediatica sono sicuramente foriere di sventure più o meno pubbliche e più o meno confessabili. Lasciamo al lettore il piacere di scoprire in che modo ciascuno di loro si sia comportato di fronte a questo inevitabile “fuoco amico”, cercando di cogliere il lato comico che, inevitabilmente, prima o poi, emergerà.
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