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«Nell’antica Cina, fino all’epoca del Primo Imperatore, dominò un genere letterario oggi completamente dimenticato: l’Altrove. Si chiamava così perché il tema centrale non veniva mai dichiarato e tutto partiva da molto lontano, senza indirizzi o vincoli apparenti. Come intraprendere un viaggio tra nebbie e risaie, fuori dai sentieri e dai sentimenti, pur conoscendo la strada per le emozioni. Il lettore sapeva che in uno di quei dedali c’era il bandolo della matassa. Non era a portata di mano ma neppure da qualche altra parte, anche perché un Altrove non poteva in nessun caso superare la lunghezza di un rotolo di carta di riso. Altrimenti si sarebbe dilatato fino a confondersi con l’orizzonte e a soffocare in se stesso come un viaggio intessuto di viaggi».La prosa di Ennio Cavalli in queste Fiabe storte prende il lettore per mano, conducendolo in un altrove della scrittura, in uno spazio fantastico, onirico, immaginifico, che rappresenta tuttavia un punto di osservazione privilegiato sulla realtà, la possibilità di sostare in quelle zone nevralgiche in cui tutto ancora può succedere. Racconti capaci di essere al tempo stesso teneri e graffianti, magici e sfrontati, che nel solco della migliore tradizione fiabesca arrivano al cuore, offrendo uno sguardo obliquo, di sapore agrodolce, sulle mille sfaccettature del mondo. Le grandi domande dell’uomo, l’amore, il sesso, la religione, il potere, la guerra, la violenza, si intrecciano nella prosa di Cavalli, che non si tira indietro di fronte al baratro e all’angoscia che sembra suggerirci il presente. Anzi vi contrappone la leggerezza del suo stile. Cavalli ama definire questa particolare declinazione della sua scrittura «srealismo». Se non c’è più realismo che tenga e forse neanche più spazio per il surrealismo, srealismo vuol dire «rovesciare il fantastico nelle tasche del quotidiano, sdipanare la realtà del momento e cadere in un altro racconto».
La prosa di Ennio Cavalli in queste Fiabe storte prende il lettore per mano, conducendolo in un altrove della scrittura, in uno spazio fantastico, onirico, immaginifico, che rappresenta tuttavia un punto di osservazione privilegiato sulla realtà, la possibilità di sostare in quelle zone nevralgiche in cui tutto ancora può succedere. Racconti capaci di essere al tempo stesso teneri e graffianti, magici e sfrontati, che nel solco della migliore tradizione fiabesca arrivano al cuore, offrendo uno sguardo obliquo, di sapore agrodolce, sulle mille sfaccettature del mondo. Le grandi domande dell'uomo, l'amore, il sesso, la religione, il potere, la guerra, la violenza, si intrecciano nella prosa di Cavalli, che non si tira indietro di fronte al baratro e all'angoscia che sembra suggerirci il presente. Anzi vi contrappone la leggerezza del suo stile. Cavalli ama definire questa particolare declinazione della sua scrittura «srealismo». Se non c'è più realismo che tenga e forse neanche più spazio per il surrealismo, srealismo vuol dire «rovesciare il fantastico nelle tasche del quotidiano, sdipanare la realtà del momento e cadere in un altro racconto».
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