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Emozionante romanzo che guarda al Sud italiano come a un palcoscenico torrido (e decisamente western) in cui pochi criminali assatanati spadroneggiano impunemente, perpetrando violenze inaudite ai danni della comunità dei più deboli. Bello, scritto magnificamente, con uno stile che è al tempo stesso barocco, sontuoso eppure splendidamente lineare... Scene di una durezza devastante contrapposte a descrizioni superbe di una natura «contaminata» dal male. E proprio come una riflessione sul Male potrebbe essere letto questo libro, scritto da un autore capace di sfruttare i canoni del «genere» per scandagliare le terribili ingiustizie di cui l'uomo si fa colpevole. Imprescindibile...
Questo autore sta operando una lenta ma inesorabile perlustrazione del disfacimento del sud che conosciamo ma che non vorremmo mai vedere. È il sud arcaico e primitivo che tanta letteratura ha alimentato ma che la violenza del nostro tempo ha ingolfato e stuprato, facendone macerie. È un sud assurdo e sublime che Di Monopoli racconta con affascinante, impietoso occhio clinico...
Cingalesi, turchi, nigeriani, polacchi e rumeni abitano un mondo baraccato tra gli alberi di un Gargano sommerso. La loro è una cittadinanza notturna, sorvegliata da Andrej, ultimo luogotenete di un racket delle braccia che compone in un unico marciume gerarchie e connivenze. Di giorno ci sono i pomodori: schiene spaccate e lame di sole. In Ferro e fuoco Di Monopoli racconta il male organizzato. Dopo Uomini e cani, l'opera seconda consolida le architetture gli stilemi dell'esordio, facendone un marchio di fabbrica, in cui l'impianto western, la visione cinematografica e fumettistica, la coralità dei personaggi e la ricercatezza del lessico sono gli elementi più riconoscibili e ingaggianti. Nella fittizia COlle Capurzio accade dunque che il fuoco del titolo riporti alla cronaca dell'epocale incendio di Peschici, pur essendogli stato assegnato soprattutto il compito - letterario - di divampare come l'odio vendicativo che attraversa tutto il romanzo. Dirompe in questo romanzo il tema sociale della xenofobia, ma i punti di vista che lo scrittore propone sono almeno tre: il subìto pregiudizio degli stranieri, le ragioni degli italiani e l'orgoglio serpeggiante tra le stesse etnie diverse di schiavi. Il genio di questo autore risiede soprattutto nella capacità di vedere oltre l'orizzonte lineare della trama, al di là del quale apparecchiare spazi microcosmici sorprendenti. Contribuisce alla grandezza di questo libro l'adozione di una lingua barocca e dialettale, densa di efficaci figure retoriche (particolarmente bella la triade dei verbi usati per descrivere l'approdo dello sguardo: ammainare, ammarare, ormeggiare!)
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