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I fenicotteri evocano paesaggi remoti e silenziosi, stagni d'acqua salmastra dove gli uccelli scelgono di fermarsi nel loro volo migratorio. Tale era Bombay in passato: una palude abitata da pochi pescatori e visitata periodicamente da stormi di fenicotteri e, benché oggi sia diventata una metropoli sovraffollata, caotica e inquinata, tutti sognano di viverci. Persino i fenicotteri, nonostante l'acqua maleodorante e nerastra, continuano a tornare indisturbati e a innalzarsi in volo sul traffico disordinato e assordante. È proprio quest'immagine incongrua, e per questo forse poetica, che si trova nelle prime pagine di I fenicotteri di Bombay, congelata in un'istantanea che rende il momento quasi profetico. Come i fenicotteri, anche la gente continua ad approdare a Bombay e a cercare di ricostruirsi una vita in un luogo che, a uno sguardo esterno, risulta feroce e inospitale. Ed è proprio su questo che riflette il secondo romanzo di Shanghvi, un tributo alla metropoli indiana in cui l'autore è nato e cresciuto. D'altronde è inevitabile che chi abbia vissuto a Bombay e ne sia rimasto stregato si chieda come quella città possa suscitare certe contraddittorie passioni nei suoi abitanti. È forse per questo motivo che si moltiplicano i saggi e i romanzi in essa ambientati e a essa dedicati, dai Figli della mezzanotte a Maximum City.
Ma I fenicotteri di Bombay non è soltanto un romanzo d'amore rivolto alla città, bensì è, a detta di Shanghvi, una riflessione sull'amore. E in effetti, fin dalle prime pagine, attraverso lo sguardo e le esperienze di Karan Seth, il protagonista, e dei personaggi che incontra sulla sua strada, osserviamo l'amore in diverse fogge, amicale e fraterno, passionale e violento, omosessuale ed eterosessuale, coniugale ed extraconiugale. Ma se inizialmente l'amore sembra avere solo connotazione positive, è con l'approfondirsi delle relazioni e il loro complicarsi che assume sfumature negative, talvolta tragiche. Qui si introduce allora l'altra grande protagonista della storia, ovvero la solitudine, che può essere ancora più profonda in una metropoli come Bombay e nell'ambiente dell'élite in cui è ambientato il romanzo.
I fenicotteri di Bombay ricorda, sotto molti aspetti, un romanzo di formazione. La trama è piuttosto semplice: nella metropoli più vivace dell'India un giovane fotografo di talento si introduce in una piccola cerchia di amici composta da Zaira, un'affascinante e malinconica attrice bollywoodiana, Samar Arora, un eccentrico pianista indiano, e Leo, un presuntuoso giornalista americano. Tra una discussione politica e qualche festino popolato da celebrità, la vita trascorre in modo piacevole, finché un evento inatteso non interviene a turbare l'armonia. La morte tragica e improvvisa di uno dei quattro amici (fatto ispirato alle cronache indiane degli anni ottanta) sconvolge completamente la vita degli altri, svuotandola di significato. Ciò non solo per la tragicità dell'evento, ma anche per via degli intrighi politici che vengono messi in atto per inquinare la verità. Il gruppo si disgrega, ma i vari personaggi trovano nella ricerca artistica individuale e nell'amore incondizionato la sola forma di riscatto.
Rispetto a L'ultima canzone, il primo romanzo di Shanghvi (Garzanti, 2006), I fenicotteri di Bombay lascia trasparire diversi elementi autobiografici, tali da far sospettare che alla sua genesi via sia una crisi esistenziale e creativa vissuta in prima persona dal giovane autore, il quale, tra l'altro, ha dichiarato di voler abbandonare la scrittura.
Elena Aime
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