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Circola con lentezza, ma in cerchie di buoni intenditori, questo libro di racconti che nel 2001 ha vinto il primo premio nel Concorso europeo di narrativa "Storie di donne" (Fenalc, Salerno). E non stupisce che l'abbia letto e apprezzato Giuseppe Pontiggia. Felicità propone infatti diciannove pezzi, di sofisticata intelligenza e di scrittura assai elegante: diciannove storie d'ordinaria solitudine, potremmo dire, se la solitudine non vi assumesse forme narrative che all'esperienza ordinaria sfuggono. S'incentrano sul nucleo delle relazioni umane, il maschile/femminile, in situazioni di coppia, folli amori, strane amicizie, sconfortate convivenze, funebri perdite, o immersioni nella ricerca di sé, del proprio doppio (come nell'immersione subacquea di La donna nell'acquario). Per dar forma al tema psicologico, autistico, Cristina Pennavaja ha scelto la tecnica di un'invenzione che si pone sempre sul confine, fra la plausibilità del reale e l'irrealtà di sogni, ossessioni, deliri o segnali che arrivano da un altrove. Sono a volte infatuazioni maschili per femmine che via via si svelano non umane, bensì gatte, bambole o incredibili femmine lavatrici (come nei racconti d'apertura Il colpo di Grazia e Più che umano); o frustrazioni femminili, come nella storia quasi giornalistica, quasi di cronaca nera di La stiratrice: dove una casalinga innamorata delle stoffe che stira e del suo pupazzo di stoffa, Andreuccio, finisce per stirare il marito in carne e ossa, Andrea. O anche enigmatiche visite cimiteriali di genere più esplicitamente fantastico. Cristina Pennavaja, nata a Roma nel 1947, di formazione filosofica e specializzazione in scienze economiche, è approdata all'insegnamento di retorica (vedi il suo libro di teoria Il gioco dell'argomentare, FrancoAngeli, 1997). Di tale interesse per la struttura narrativa il frutto è in questi racconti e nel loro svolgimento indiziario, che tiene avvinto il lettore abilmente per cenni e lo guida allo sconcerto finale. Esempio di uno sperimentalismo di qualità, mirato sullo stile in quanto modo del pensare, dell'immaginare.
Lidia De Federicis
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