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Il libro si pone a metà tra il saggio biografico su Federico Zeri e l'antologia di interventi e interviste. Dopo i capitoli introduttivi delle due autrici vengono infatti trascritti, e opportunamente collegati tra loro, stralci di elzeviri e articoli in cui Zeri denunciava casi di incuria del patrimonio artistico, specialmente romano, lo stato di abbandono dei musei e del territorio, la scarsità degli acquisti, i ritardi nella catalogazione, le colpe avute anche dall'amministrazione dei Beni culturali; un capitolo a parte ricostruisce il ruolo svolto come opinionista televisivo e "personaggio mediatico". Ironico, pungente, polemico, amaro, sempre insoddisfatto, a volte ingeneroso e perfino ingiusto, lo Zeri che emerge da questi scritti è un instancabile fustigatore dei costumi nazionali, e non solo in tema di patrimonio culturale. Amava l'Italia ma era in fondo un apolide, fu indubbiamente una tra le rare personalità italiane di fama internazionale ma aveva anche qualcosa di provinciale: il gusto (cosciente, anzi ricercato) di sentirsi parte della vecchia Roma papalina, della quale comunque non smetteva di rilevare i difetti, che gli sembrava avessero, alla fin fine, infettato tutto il paese; pessimista e mordace, è stato insieme un Leopardi e un Belli della tutela culturale. Da vero conoscitore e filologo, aveva prima di tutto la capacità di guardare in profondità dentro i quadri, lo spirito classificatore del botanico o dell'entomologo, ma covando sempre l'aspirazione ad andare oltre il mero attribuzionismo: non era certo interessato alla storia delle idee (quelle astratte o promulgate a tavolino, sulla scia di filosofie alla moda), preferiva i problemi, cercava le relazioni, i rapporti tra le cose, le persone e gli eventi, insomma la complessa storia di quella cultura che vedeva sempre più bistrattata dagli italiani.
Claudio Gamba
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