Non si può negare che Federico II di Svevia (1194-1250) sia dotato tuttora di grande fascino. Interessa gli addetti ai lavori e seduce il grande pubblico. Basta guardare lo scaffale a lui dedicato nelle grandi librerie, con un'offerta che va dagli studi storici più qualificati alle fantasticherie esoteriche più allucinanti. Certo, tutto ciò non è successo suo malgrado. Perché lo Svevo fece l'impossibile per essere ricordato dai posteri e per apparire eccezionale, nella gerarchia del potere temporale e non solo. Così, nel corso del secolo XIII, anche gli intellettuali della sua corte e i suoi figli non persero occasione per costruire un mito "rivoluzionario". Papi e guelfi ‒ dipingendolo come un drago satanico, un anticristo, un profeta dell'Apocalisse ‒ contribuirono poi a esaltarne la figura. Fulvio Delle Donne, docente di letteratura latina medievale e di storia medievale all'Università della Basilicata, da molti anni indaga sull'imperatore. E studia anche le radici e le ragioni del suo fascino imperituro. Il suo libro ci accompagna, appunto, alla scoperta del cortocircuito tra il personaggio storico e il personaggio immaginario. Un'interferenza a causa della quale il nipote del Barbarossa è stato costretto a condurre una doppia vita: una nel mondo reale, legata a una situazione contingente, letta e riletta attraverso la ricerca scientifica; l'altra nel mondo del mito, sparpagliatosi in mille rivoli dal secolo XIII fino ai nostri giorni. Secondo l'autore il debordante desiderio che Federico ebbe di essere ricordato si è trasformato in una specie di condanna eterna. Una damnatio, dal punto di vista dello Svevo, più seccante di un'ipotetica amnesia da parte dei posteri. Perché la sua volontà di imporsi come imperatore medievale a tutto tondo ha finito per essere sepolta da miti che hanno generato altri miti. Così da trasfigurare il personaggio. Con eccessi tragicomici: negli ultimi anni il suo Castel del Monte, in Puglia, è stato paragonato alla piramide di Cheope o spacciato per la dimora del cosiddetto Sacro Graal. O con effetti imprevedibili: lo Svevo è un mitomotore identitario nella Puglia di oggi. Delle Donne offre al lettore la lettura di brani coevi in latino, per consentire un rapporto diretto con le fonti; insieme con una chiara e immediata traduzione, per renderli facilmente leggibili. Così non solo l'autore ripercorre l'itinerario che ha condotto Federico II dalla storia al mito. Riporta pure nell'alveo della storia il poeta-imperatore protagonista dell'anonimo Itinerarium, dove lo Svevo, ritratto nella riconquista del Regno del Sud dopo il ritorno dalla Crociata, pare capacedi improvvisare quei motti in versi (a volte elogiativi, a volte denigratori) che ancora oggi identificano molti centri pugliesi. L'autore ci restituisce così un ritratto di Federico II attraverso le attestazioni del suo mito. E ci consente anche di riflettere sul fatto che mito e storia sono due aree limitrofe. Sebbene il primo non possa sostituire la seconda, la nascita e l'evoluzione del mito devono essere studiate come fenomeno storico. Un punto di vista che, ovviamente, non riguarda solo l'imperatore svevo. Ma strumentalizzazioni e manipolazioni della storia, spesso per un uso politico, sono sempre in agguato. Occorre avere strumenti di difesa. Delle Donne ci dimostra che quegli strumenti esistono. Marco Brando
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