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Anno edizione: 2015
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Molto bello, una storia originale che sfiora la tragedia dell'olocausto con delicatezza e con la forza della speranza. Ho amato il protagonista, solido, ottimista, forte. Leggetelo perché è davvero una piccola perla letteraria.
Bellissima tramA un punto di vista sull'olocausto davvero inesplorato e originale .la grande tragedia della guerra è appena accennata questa è una storia d'amore un amore esclusivo forte e rigenerante.Ben scritto mi è mancato però un po' di approfondimento
Compratelo senza esitare: scritto stupendamente, si legge in tre giorni, non annoia. Basato su una storia vera, ci fa capire la reale forza dell' amore e della volontà umana.
Recensioni
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Miklós, un ungherese sopravvissuto della Seconda Guerra Mondiale, raggiunge nel luglio del ’45 un campo profughi in Svezia. Ridotto pelle e ossa dalle esperienze vissute in guerra e in prigionia, ha contratto il tifo e una grave forma di tubercolosi a causa della quale, secondo i medici, gli restano solo sei mesi di vita: “per dirla in modo banale, la malattia… sta divorando i suoi polmoni. “(p.14).
Il giovane ebreo, che prima della guerra era un giornalista, non manca di determinazione e, soprattutto, di voglia di vivere: ignorando il responso dei medici, si mette subito d’impegno per…trovare moglie!
Dopo aver ricevuto l’elenco di 117 ragazze ungheresi sotto i trent’anni sopravvissute come lui all’Olocausto, rifugiate nei campi profughi svedesi, scrive ad ognuna di loro una lettera, nella sua curata ed elegante grafia, per iniziare una conoscenza epistolare.
Tra le destinatarie c’è la diciottenne Lili Reich, una ragazza non in buone condizioni di salute, ma con tanta voglia di guardare avanti e di sperare in un futuro migliore.
Una delicata ed intensa storia d’amore, piena di humor e di poesia: Miklós e Lili hanno conosciuto l’inferno sulla terra, hanno sfiorato la morte, ma hanno avuto la forza e l’entusiasmo necessario per guardare avanti e scegliere la vita. Nonostante la malattia, la solitudine, la perdita delle famiglie, i due giovani protagonisti hanno ancora voglia di sognare: “Mi stia a sentire, dottore. Rispetto la sua straordinaria professionalità. La sua grande esperienza. I clamorosi risultati della medicina. Le vostre pillole, le radiografie, le siringhe, i vostri espettoranti. Rispetto tutto! Però la prego con il cuore in mano di lasciarci in pace! Di permetterci di sognare! La prego in ginocchio di permetterci di ignorare la scienza! Le rivolgo la mia preghiera di lasciarci guarire da soli!” (p. 173). Nulla è impossibile di fronte alla straordinaria forza che ogni uomo, anche nei momenti più difficili, sa trarre dal desiderio di vivere ed amare.
Febbre all’alba racconta la tenera storia d’amore tra i genitori di Péter Gárdos, regista ungherese, un amore nato per lettera e quasi per caso mentre i due si stavano curando in Svezia. Il padre dell’autore aveva conservato le lettere per più cinquant’anni in una scatola di latta: un cimelio d’amore che la madre ha consegnato al figlio dopo la morte del marito. Le lettere dimostrano l’entusiasmo e la forza d’animo di questi due giovani, disposti a tutto pur di coronare il loro sogno e trasmettono il messaggio, sempre attuale, di quanto, anche nei momenti più difficili, la speranza e la volontà possano determinare il nostro destino. Delicato, poetico, ma anche forte e profondo: questo romanzo è capace di ricreare l’atmosfera ancora satura di dolore e paura nella quale si muovevano coloro che erano scampati alla follia nazista. Tuttavia, quello che emerge con forza da queste pagine non è il dolore, ma la gioia dell’amore, sempre pronto a rinascere dalle sue ceneri: “Da trenta ore / la mia vita corre su binari roventi e infiniti. / Mi sono guardato allo specchio ed è strano che/ ora io sia semplicemente felice. /” (p. 130)
Recensione di Chiara Barra
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