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Terzo libro sulla famiglia più strana di Parigi, questo racconto è incentrato tutto sugli anziani è su cosa sta succedendo nel quartiere di Belleville. Io l’ho trovato il più bello di tutti fino ad ora.
a 20 anni circa dall'uscita della saga di malaussene mi sono deciso finalmente a leggerlo, cominciando dal secondo episodio, ma poco male, perchè devo dire che mi è piaciuto proprio tanto. ero scettico, non so perchè, forse perchè ero ragazzo quando si parlava molto di pennac e lo snobbai perchè di moda. ora, più maturo, ho voluto leggerlo e mi ha appassionato come alcuni geniali romanzi di benni, la trama è poliziesco-grottesca, il libro scorre piacevolmente anche se racconta diverse bizzarrie, ma i colpi di scena sono sempre dietro l'angolo, e anche l'amore e le storie eroiche e strappalacrime. un intrico di sottotrame che ti lascia desideroso di sapere come andràa finire.
Secondo episodio della saga di Malaussène dopo "Il Paradiso degli Orchi", stavolta sono i vecchietti ad essere presi di mira da più fronti. C'è qualcuno che di notte sgozza povere vecchiette per rubargli qualche soldo, qualcun altro che gli somministra amfetamine rendendoli drogati cronici, chi li fa ricoverare forzatamente. E chi rischia di passarci di mezzo è il povero Malaussène, di professione capro espiatorio che rischia di diventare il capro espiatorio anche per tutti questi brutti fatti che stanno capitando. Anche perchè ha la capacità di trovarsi spesso nel posto sbagliato al momento sbagliato come se fosse un catalizzatore di guai. La trama stavolta mi è sembrata molto più intricata, ma sempre ben comprensibile, rispetto al primo libro. Restano pagine di una dolcezza incredibile affiancate da pagine estremamente ironiche e da altre che pongono spunti di riflessione su questa nostra società che sono molto molto duri a ben pensarci. Che incredibile famiglia quella dei Malaussène, già discretamente incasinata ed ulteriormente allargata dai nonnini che Ben aiuta a disintossicare grazie al calore familiare. Che situazioni ai limiti dell'assurdo. Eppure...a chi non piacerebbe avere una famiglia come Ben? Certo creano un caos pazzesco ma c'è sempre una sorella o un fratello che ti possono dare una mano o una parola che ti risollevi.
Recensioni
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PENNAC, DANIEL, La prosivendola, Feltrinelli, 1991
PENNAC, DANIEL, La fata Carabina, Feltrinelli, 1992
PENNAC, DANIEL, Il Paradiso degli orchi, Feltrinelli, 1991
recensione di Bert, G., L'Indice 1993, n. 5
(recensione pubblicata per l'edizione del 1992)
Dovrei presentare in poche righe ben tre romanzi di Daniel Pennac. Un problema? Figuriamoci: l'autore stesso lo esclude: "È così facile raccontare un romanzo. Qualche volta bastano tre parole"...
Eh no, monsieur Pennac; non sempre almeno. Non per i vostri romanzi. Tre parole? Vediamo: Benjamin Malaussène, responsabile di una nidiata di fratelli minori (stessa madre, padri diversi), mantiene questa caotica famiglia (più un grosso cane, bastardo anche lui) con una curiosa professione: Capro Espiatorio. In ognuno dei tre romanzi (che sarebbe meglio leggere in ordine cronologico), Malaussène è coinvolto in una situazione drammatica, in un thriller: bombe nei grandi magazzini, vecchiette armate di P38 che sparano e uccidono, romanzieri killer, storie di droga, politici assassinati... Ligio al suo status di capro espiatorio, l'innocente Benjamin rischia ogni volta di pagare per gli altri. Finali rigorosamente a sorpresa. Ecco. Ho "raccontato" i romanzi: "Il Paradiso degli orchi", "La fata Carabina" e "La prosivendola". E adesso? Siete stimolati a leggerli, disincantati e colti lettori dell'"Indice"? Come trasmettere in cento (altro che tre!) parole il divertimento, l'ironia, la malinconia, la paura, la rivolta, la tenerezza, la fantasia che mi hanno commosso? Eppure ha ragione lui, Pennac. Raccontare un romanzo non significa riassumere un romanzo. Si può raccontare "Gargantua", "Don Chisciotte", "La Princesse de Clèves", o magari "Zazie dans le métro", "Les fleurs bleu"; si possono raccontare film come "Monsieur Hulot" o "La mia notte con Maud"... Quanto a riassumerli, però...
Si può raccontare una storia come se fosse la realtà; e si può raccontare la vita come fosse un romanzo (SaintSimon e Chateaubriand insegnano...): questo è un tema sempre presente nel Pennac narratore, tema che diviene esplicito in "Comme un roman*.
Proprio questo percepire la vita anche "come un romanzo" introduce un elemento di ordine nella caotica esistenza di Malaussène e dei suoi fratelli. I racconti serali che segnano il passaggio dei ragazzi attraverso l'infanzia e l'adolescenza sono dapprima pura invenzione di Malaussène, sarà in seguito il vecchio e misantropico ex libraio Risson a raccontare "Guerra e pace", coinvolgendo i giovani ascoltatori nella storia esattamente come se narrasse fatti reali, vivi, ricchi di autentica e condivisa emozione. L'ultimo narratore sarà il vietnamita Thian, ma lui racconterà avvenimenti a cui tutti : - quanti hanno preso parte, cioè la realtà, e la trasformerà in romanzo: "La fata Carabina", appunto. Perché Pennac ama davvero e profondamente il romanzo: un amore dichiarato in ogni pagina della "Prosivendola". Quello che lui vuole comunicarci è proprio il piacere, la gioia della lettura; non il dovere, il fatale "bisogna leggere", con cui genitori ed educatori eliminano quella gioia, spesso per sempre.
Già: il dovere, l'ordine, il metodo. L'analisi del testo. Le continue interruzioni "educative" ("Hai capito bene? Cosa significa esattamente questa parola? Quando si svolge l'azione? Chi era, storicamente, il protagonista? Hai notato l'ironia? Hai colto la citazione?"...). Il rifiuto di tutto questo è un altro tema ricorrente in Pennac; l'ordine è immobile, glaciale: l'ordine è la morte. La morte del piacere, della scoperta della curiosità, della fantasia, dell'interpretazione, della libertà. Nell'ordine tutto è previsto e prevedibile. "Devi leggere", "devi capire"... Che c'entra questo con l'amore? Si può dire "devi amare"?
L'ordine, in ultima analisi, è di destra. È il poliziotto "Frontalmente Nazionale" della "Fata Carabina", che non è lepenista in quanto razzista (il razzismo è irrazionale e pertanto disordinato), ma è razzista in quanto "Frontalmente Nazionale": logica, ineluttabile conseguenza di un pensiero razionale e ordinato... Ma neanche un poliziotto lepenista può controllare il Disordine: esso gli apparirà una volta per tutte nelle vesti di una vecchietta armata di P38... L'impensabile, l'imprevedibile, il Caos.
L'ordine è il pazzo della Prosivendola che, rinchiuso in un manicomio criminale modello, scrive e scrive romanzi glaciali e morti, ispirandosi a enciclopedie, a dizionari, alla collana "Que sais-je?"... Una volta tornato nel mondo reale, non riuscirà più a raccontare niente: la vita autentica è troppo disordinata per essere descritta... Ordine è anche il politicante fascista che, in nome del "realismo liberale" (contrapposto al realismo socialista, piuttosto ordinato anche quello, peraltro) immagina storie di capitani d'industria vittoriosi e di imprenditori potenti e dominatori.
L'ordine è il grande magazzino del "Paradiso degli orchi": è proprio per mantenere quell'ordine che Malaussène fa il Capro Espiatorio. Allorché qualche acquirente si presenta all'Ufficio Reclami (potenziale elemento di disordine!), Benjamin viene trascinato davanti a lui, indicato come il solo responsabile del danno riscontrato e licenziato in tronco. Il suo compito è quello di piangere, di commuovere l'acquirente, così da convincerlo a ritirare il reclamo. Capro espiatorio, come si vede, è colui che si fa carico del disordine e quindi delle relazioni, delle emozioni, in una parola della vita. E disordine è l'intera famiglia Malaussène: famiglia senza padri, con una madre quasi sempre in fuga amorosa, che torna a casa invariabilmente incinta, partorisce un figlio e scompare di nuovo. Disordine è il mondo multirazziale di Belleville, una Belleville simbolica, dove francesi, arabi, kabili, berberi, senegalesi, vietnamiti, cinesi convivono in un magma vitale. Niente razze pure: tutti meticci, variamente incrociati, con occhi, capelli e pelle dei più svariati colori. Culture che si intrecciano in modo apparentemente caotico. Il nero Loussa impara il cinese; lo jugoslavo Stojil traduce Virgilio in serbo-croato... Belleville, come figura del mondo moderno: la Geografia rassegnata alla Storia, come dice un vecchio anticolonialista nella "Fata Carabina". Disordine è anche lo strano, intenso, difficile amore tra Benjamin e la giornalista Julie, tra la Giovanna d'Arco delle cause impossibili e il Capro Espiatorio...
Disordine, certo: ma, in qualche modo, ordinato. Non il caos, insomma; non quello che oggi si definirebbe il casino più totale. Piuttosto una incarnazione moderna della rabelaisiana abbazia di Thélème, dove il motto "Fay ce que vouldras", "Fa ciò che vuoi" è segno di volontà, di libertà, di piacere condiviso, non di casualità o di legge della giungla. "Fa ciò che vuoi" si contrappone al mortale "fa ciò che devi" e all'infantile, autodistruttivo "fa quel che ti salta in mente". Un ordinato disordine: questa, per Pennac è la vita; di qui nasce il piacere come la sofferenza. Qui hanno origine la libertà e la saggezza. Pennac, un Montaigne per adolescenti: tenero e ironico, sensuale e pragmatico, capace di coniugare piacere ed etica, di amare la vita con profonda intensità ma anche con il giusto distacco. Un autore che sa parlare a chi si trova, come lui stesso dice, "tra due mondi, avendo perduto il contatto con ambedue", quando "si vorrebbe essere liberi e ci si sente abbandonati".
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