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Nell'introduzione a questa ora riproposta sua prima antologia sul fascismo, edita una prima volta da Cappelli nel 1966 e frutto di un sapiente assemblaggio di testi di provenienza diversa, ma legati fra loro dal tentativo di interpretare il fenomeno fin dai suoi albori, De Felice prendeva chiaramente le distanze sia da ogni approccio schematizzante, sia dal lavoro compiuto pochi anni prima da Costanzo Casucci ( Il fascismo: antologia di scritti critici , il Mulino, 1961). Nel selezionare i testimoni per orientamenti e non per appartenenza politica - così puntualizzava nel 1962 De Felice in una recensione per "Il Nuovo Osservatore" - Casucci avrebbe avuto infatti il torto di attenersi al criterio empirico della divisione in parti ( Le interpretazioni tradizionali e La ricerca del periodo post-fascista ), con l'aggravante di applicare spesso etichette politico-ideologiche improprie o discutibili. In realtà, pur muovendosi nel solco tracciato da Nino Valeri, Casucci aveva insistito sull'unilateralità della storiografia postfascista, ora concentrata sul problema dello stato e della classe dirigente dopo l'unità, ora sulla storia dei due grandi movimenti di massa (operaio e cattolico), per promuovere l'importanza di un'analisi che abbracciasse il clima spirituale creatosi all'indomani del primo conflitto, gli errori di valutazione dei socialisti e la crisi della società liberale.
Tutti temi che De Felice avrebbe avuto poi modo di riprendere, fino ad ammettere, tra le righe, di aver concepito l'antologia del 1966, non in antitesi netta con il volume curato da Casucci nel 1961, ma come una prosecuzione e un ampliamento. A ragione, Giovanni Sabbatucci ha sostenuto che gli anni sessanta rappresentarono per il giovane storico un momento di transizione dal giacobinismo alla nuova stagione di studi sul fascismo, inaugurata dal primo tomo della biografia di Mussolini (1965). È una fase durante la quale De Felice avverte l'esigenza di approfondire le origini del movimento fascista, non solo in rapporto alla crisi del liberalismo, ma nel quadro politico nazionale, di comprenderne le multiformi articolazioni, la composizione sociale legata ai gruppi minoritari della sinistra giolittiana, di mettere in rilievo le capacità organizzative dei suoi esponenti di punta. Ne deriva l'esigenza di scandagliare gli anni cruciali del 1921-1923, di catalogare sistematicamente e con scientificità il materiale - qui risiede l'elemento davvero discriminante rispetto all'operazione di Casucci - per presentarlo in veste integrale ai lettori.
De Felice sceglie di dar voce alle diverse correnti del socialismo (Zibordi, Mondolfo, De Falco), a repubblicani e anarchici (Bergamo, Degli Occhi), al comunista Giulio Aquila, per dimostrare come tutti costoro avessero percepito il radicamento del fascismo nel ceto piccolo-borghese, la sua natura eversiva e fossero consapevoli dell'incapacità di farvi fronte con una strategia politica immediata e vincente. Di lì a poco, De Felice avrebbe realizzato Le interpretazioni del fascismo (1969), corredata dalla raccolta antologica del 1970 che, pur aprendosi ai più innovativi indirizzi storiografici stranieri, ricalcherà la bipartizione in due sezioni ( Il giudizio politico e Il giudizio storico ) già proposta da Casucci. Infine, l' Autobiografia del fascismo del 1978, compilata a uso "scolastico" in modo da presentare in ordine logico-cronologico contributi relativi alle diverse anime e alle evoluzioni del movimento in regime, proverebbe una volta di più il mai sopito interesse di De Felice per il modello antologico come strumento d'interpretazione, nonché, attingendo alle letture del passato, come orientante supporto teorico della propria opera storiografica.
Alessia Pedìo
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