Il libro raccoglie alcuni saggi dedicati al rapporto tra fascismo e questione ebraica, scritti tra il 2001 e il 2004 da Angelo Ventura, professore emerito dell'Università di Padova. Il punto di partenza delle sue riflessioni è rappresentato dal ruolo centrale che progressivamente l'antisemitismo assunse all'interno del fascismo. La componente razzista fu connaturata alla dottrina fascista fin dai suoi esordi e rappresentò un logico sviluppo della sua ideologia nazionalistica, autoritaria e gerarchica. Nell'analizzare il ruolo delle élite politiche e intellettuali nell'elaborazione dell'ideologia antisemita, Ventura si focalizza sugli studi di Renzo De Felice, in particolare sull'opera del 1961, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo. L'autore sottolinea come sia stato proprio De Felice ad aver dimostrato che la svolta antisemita fu dovuta alla decisione autonoma di Mussolini e che la politica discriminatoria nei confronti degli ebrei fu concepita e attuata per volontà e sotto le direttive del dittatore, smentendo l'opinione, largamente diffusa, che l'attribuiva all'avvicinamento a Hitler. Dopo la guerra d'Etiopia, l'antisemitismo divenne uno strumento essenziale per la formazione dell'uomo nuovo fascista. Ventura passa poi ad analizzare la persecuzione razziale presso l'Università di Padova. Caso esemplare di sofferenza e disperazione fu quello di Tullio Terni, professore di anatomia, istologia e embriologia, colpito nel 1938 dalle leggi razziali. Membro dell'Accademia dei Lincei, fu radiato nel 1946 in quanto sostenitore del regime fascista. La tragedia, che lo colpì per due volte nel giro di pochi anni, lo fece cadere in uno stato di depressione che lo spinse a mettere fine alla propria vita. Elena Fallo
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