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ZANI, LUCIANO, Fascismo, autarchia, commercio estero. Felice Guerneri: un tecnocrate al servizio dello 'Stato nuovo', Il Mulino, 1988
GUARNERI, FELICE, Battaglie economiche fra le due guerre, Il Mulino, 1988
recensione di Ciocca, P.L., L'Indice 1989, n. 8
La casa editrice Il Mulino propone due libri, connessi, quale ulteriore contributo, dopo i non pochi degli ultimi anni, alla disamina storica del fascismo italiano: la biografia di Felice Guarneri dovuta a Luciano Zani e la ristampa delle memorie dello stesso Guarneri, apparse in prima edizione per i tipi della Garzanti nel 1953. Il personaggio che accomuna i due volumi, già alto funzionario della Confindustria e dell'Assonime, ebbe l'incarico di governare i cambi dal 1935 al 1939, nella fase cruciale dell'autarchia e dell'avvicinamento alla guerra mondiale. Rimosso, per sopravvenuto, manifesto "burocratismo", dal duce nell'ottobre del 1939, chiuse la carriera sotto il regime al Banco di Roma, di cui fu presidente dal 1940 al 1944.
I due libri sono evidentemente ben diversi, ma utili entrambi. Il primo è costruito secondo uno schema semplice e chiaro, per fasi della vita e dell'attività del protagonista; si fonda su una sicura padronanza delle fonti, primarie e secondarie; è ben scritto. Offre un inquadramento, ampie notizie, elementi interpretativi e problematici a chi, studioso o semplice curioso del fascismo, voglia farsi, di figure come quella del Guarneri, un'opinione propria. Propria, ad esempio e nel caso specifico, di fronte a giudizi di sintesi almeno all'apparenza opposti, rinvenibili nella letteratura "classica" sul regime: quello, durissimo ed esplicito, di Ernesto Rossi ("Guarneri non poteva essere considerato un Grande Barone: in confronto ai Perrone, Volpi, Agnelli, Donegani, Gualino, Pirelli, Falck, Conti, Marinotti, Pesenti e compagni, era un piccolo valvassore [...] 'Battaglie economiche' non è un libro che eccella sugli altri libri di ex gerarchi, comparsi dopo la fine dell'ultima guerra mondiale. Anzi, tutt'altro. Ma la mediocre intelligenza e la meno che mediocre preparazione del Guarneri nella scienza economica gli hanno consentito molte imprudenti ammissioni, che altrimenti non avrebbe fatto, sui suoi ammirati padroni"; E. Rossi, "Padroni del vapore e fascismo", Laterza, Bari 1966, p.14) e l'altro, non negativo ancorché implicito, di Ruggero Zangrandi ("Riccardi Raffaele, ministro per gli Scambi e Valute: fu insediato da Mussolini il 1| novembre 1939, dopo che il suo predecessore, Felice Guarneri, espresse la convinzione che l'Italia aveva assoluto bisogno di almeno dieci anni di pace"; R. Zangrandi, "Il lungo viaggio attraverso il fascismo", Garzanti, Milano 1971, p.429). La ristampa delle memorie di Guarneri, d'altra parte, rende di nuovo accessibile in libreria quella che, al di là del taglio, delle argomentazioni, del tono da cui è segnata, resta una cronaca fra le più minuziose: un serbatoio tuttora prezioso, da cui estrarre fatti grezzi - avendo cura di scartare quelli che Luigi Einaudi definiva "fatti stupidi" - per l'analisi dell'economia italiana nel periodo fra le due guerre e soprattutto per una ricostruzione delle politiche economiche del regime.
L'utilità dei due libri è, nondimeno, direttamente proporzionale allo stato di arretratezza assoluta e relativa in cui la storiografia del fascismo permane: per la limitata capacità sia di esprimere ricerche fresche sulla dimensione economica della società, sia di raccordare gli studi d'argomento economico - di cui pure si dispone - alle analisi sociopolitiche che gli storici italiani, tuttora poco attratti dalla "scienza triste", continuano a prediligere, sulla via delle agognate sintesi di storia senza aggettivi. Contributi rigorosi, come quelli di Toniolo, Rey, Tattara, Vera Zamagni e loro collaboratori o allievi vengono non di rado definiti come "specifici", o "quantitativi", stentano ad avere seguito di arricchimenti estesi e sistematici. Doverosamente citati a "pag. 1, nota 1" di ogni lavoro in cui la dimensione economica non può essere proprio pretermessa, neppure dal più "idealista" o "revisionista" fra gli storici del fascismo, quei contributi di rado vengono consapevolmente, saldamente, inscritti nel corpo dell'analisi.
Questa strutturale, vien da dire insuperabile, difficoltà nel fare i conti con l'economia limita nei risultati complessivi, e per più aspetti vizia, anche sforzi fra i più eruditi dell'ultima storiografia sull'Italia fascista, quali quelli prodotti dal De Felice. Superata la contrapposizione pura e semplice fra ristagno e dinamismo del sistema produttivo fra le due guerre; accertata, o ammessa, l'esistenza di un consenso di massa al regime, con salari bassi in termini reali, flessibili in termini nominali; constatato che il regime venne a disporre di una gamma ampia di strumenti - macro e microeconomici, di mercato e non, tradizionali e 'anticipatori' - unitamente a "tecnocrati al servizio delle 'Stato nuovo'", alla Guarneri, supposti in grado di manovrare questi strumenti: come spiegare, allora, e soprattutto come leggere, come inserire in saggi di storia per dir così globale la macroscopica discrasia delle risultanze e delle trasformazioni dell'economia italiana rispetto alle tendenze, alle finalità, alle scelte sociopolitiche e militari, espresse dal regime e dal paese nel ventennio?
Questa domanda di fondo, sul rilievo e sui contenuti della 'questione economica' nell'Italia fascista, continua a essere sostanzialmente elusa dagli storici generali; ciò, persino con riferimento agli anni trenta, dominati, in ogni aspetto, interno e internazionale, dalla depressione mondiale e dalle sue ripercussioni. Forse la questione non venne dal regime impostata in termini di rapporto fra mezzi economici e fini, anche metaeconomici? Ovvero, venne impostata in quei termini, ma le classi dirigenti del tempo - non solo il duce e gli uomini del fascismo in senso stretto - non seppero avviarla a soluzione? Nell'una e nell'altra, più probabile, ipotesi è ineludibile il tema della responsabilità, morale e civile, di quelle classi dirigenti; nel senso, ad esempio, in cui Zangrandi (op. cit., p. 423) usa questa parola, con particolare riferimento all'entrata dell'Italia in una guerra che essa non poteva sostenere, o controllare: "tutti sapevano e nessuno fece nulla". In che misura quella responsabilità consistette nella sopravvalutazione dei mezzi, nella vaghezza dei fini (inclusi, naturalmente, quelli di politica estera e militari), nella sottovalutazione dei vincoli, nella soggettiva inettitudine, o difficoltà oggettiva in una società eterogenea come quella italiana, di conciliare mezzi, vincoli, fini?
Sul piano del metodo, eludere queste domande circa il nesso fra politica ed economia, con riferimento alla fase di crisi più acuta e di trasformazione più profonda mai sperimentata dal capitalismo mondiale, implica per lo storico seri rischi di non capire, di distorcere. I rischi si aggravano quanto più l'oggetto dell'indagine è esso stesso economico, o prossimo agli aspetti economico-istituzionali della società. Questo è, naturalmente, il caso dell''oggetto' Guarneri, 'policy-maker' e memorialista. Zani non si pone i quesiti d'ordine generale che ho sottolineato. Consapevolmente, riduce al minimo i rischi di metodo valorizzando il taglio biografico della sua ricostruzione: "sono tali e tanti i piani di analisi che la politica commerciale di un regime fascista e autarchico suggerisce, che chi scrive sente la necessità di chiarire il limite strettamente biografico di questo lavoro, in cui invano si cercherà una linea interpretativa di carattere tecnico-economico [...]" (p. 11).
E tuttavia anche una biografia può risentire di questo limite di metodo. Può prevalere una sorta di 'sindrome di Stoccolma' del biografo, che lo induce a tollerante simpatia per l'essere umano di cui ripercorre la vicenda. Il dramma umano e professionale del Guarneri, soffocato dal sistema di controlli diretti sulle transazioni con l'estero da lui stesso predisposti, quella che egli visse come una "battaglia economica", sarebbe stato posto in una prospettiva più corretta movendo da un quadro chiaro degli obiettivi/vincoli economici in cui la sua azione si inserì. Valga un solo esempio. La gestione, su licenza, di importazioni sottoposte a contingente può avere generiche finalità valutarie (contenere il disavanzo commerciale, allentare il vincolo dei conti con l'estero alla crescita), specifiche finalità di programmazione dell'offerta (per sostenere l'attività di investimento o l'occupazione), specifiche finalità di allocazione delle risorse (a favore di settori produttivi determinati). Giudizio sui fini a parte, la Germania nazista passò dalla seconda alla terza 'marche à suivre' nel 1935: "Il fatto è che nel 1935 la ripresa economica e la creazione del lavoro cessarono di essere lo scopo principale della politica economica nazista: esse furono sostituite dalla preparazione alla guerra e alla costituzione di un'economia autarchica" (H.W. Arndt, "Gli insegnamenti economici del decennio 1930-1940", Einaudi, Torino 1949, p. 250). Felice Guarneri, Goring nostrano, ebbe evidentemente più problemi, e maggiori affanni personali...
La carenza di un'analisi economica di fondo, inoltre, fa sì che la pur interessante monografia dello Zani manchi l'unico obiettivo metabiografico che dichiaratamente si propone: "indagare il modo in cui il fascismo, sul piano teorico e pratico, aggiorn• il proprio manuale per il moderno principe alla nuova realtà del commercio mondiale" (p. 9). La "funzionalità delle strutture di controllo dei cambi e degli scambi" non è affatto "indubbia'" come Zani ritiene (p. 10). Quelle strutture, al contrario, diedero allora e hanno dato in seguito pessima prova. Nel 1935-39 la condizione valutaria dell'Italia fran• (il ragionier Guarneri dovette conteggiare un calo della riserva aurea da 9.961 a 2.749 milioni di lire); il problema della disoccupazione non venne risolto; l'accumulazione di capitale subì un'interruzione unita a una minirecessione nel 1936; l'inflazione si riaccese; "il ritardo della preparazione militare italiana divenne realmente grave e preoccupante [...] a partire dal 1935-36" (G. Rochat, G. Massobrio, "Breve storia dell'esercito italiano dal 1861 al 1943", Einaudi, Torino 1978, p. 266, dove viene chiaramente affermato il nesso fra carenze della politica militare fascista e fascismo quale "espressione di un capitalismo secondario"). Normativa e procedure amministrative, incentrate sul concetto di monopolio dei cambi, condussero a una complessità di rapporti fra burocrazia e privati che fu di ostacolo alle scelte strategiche. La soluzione 'ministeriale' venne spinta sino a sottrarre gli stessi aspetti tecnico-operativi della gestione dei cambi a organi, tecnici appunto, come la banca centrale. L'intera impostazione fu il frutto dell'incultura economico-istituzionale di allora, definitivamente bollata come tale, non solo dagli illustri economisti liberali italiani che, come Demaria, ebbero il coraggio dl esprimere la critica mentre il fascismo era ancora imperante.
Alla carenza di una visione economica di fondo non possono d'altra parte supplire le memorie personali del Guarneri, dominate come sono da un'impostazione cronachistica e descrittiva, da una emotività da emergenza continua, dai limiti, evidenti nello stesso lessico usato, della attrezzatura analitica dell'uomo: accademico mancato, liberista di formazione ma autarchico di professione, dalle poche mal digerite letture di teoria, fra Marshall e List, J.B. Clark e Pareto, un pratico da "relazionificio", non certo l'economista rigoroso e raffinato che Zani immagina. Non rende, infine, un buon servigio al lettore, desideroso o bisognoso di un inquadramento economico generale criticamente avvertito, la scelta dell'editore di preporre alle memorie di Guarneri una introduzione fondata su ampi stralci tratti dallo stesso volume biografico dello Zani, a questo fine manifestamente un 'second best'.
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