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Nel titolo originale, Thanatos. Das schwarze Buch, si annuncia subito la presenza inquietante del "libro nero" di Thanatos, che scandisce la trama narrativa come una voce fuori campo, mentre il titolo italiano mette l'accento sul protagonista Konrad Johanser, trentaduenne archivista presso l'Istituto berlinese di studi sul romanticismo, soprannominato dai colleghi dapprima "lo schedario ambulante" per la sua stupefacente conoscenza in materia, e poi "il cadavere-schedario ambulante" per il suo aspetto "da zombi", o da "freddo essere meccanico che si esprime in modo breve e conciso solo su un argomento immesso nel suo programma e su nient'altro".
Dal pensiero romantico Johanser ha attinto a modo suo alcuni concetti basilari, ritenendo ad esempio che l'arte di qualità sia per sua natura una falsificazione del mondo, e che quindi valga la pena di "riflettere sulle date di scadenza dell'arte: per molti autori era bastato un solo verso approdato alla gloria per far sì che alla loro opera toccasse la grazia di essere inserita nell'archivio, il che non significava che l'autore fosse letto, tuttavia attestava che era esistito". Grazie alla sua grande abilità di specialista e di grafologo si appassiona così al gioco di aiutare chi immeritatamente aveva ricevuto troppo poco, o di "togliere qualche cellula di adipe all'aureola degli eroi soddisfatti e sacrosanti". Quando poi lo sviluppo degli eventi e il naufragio del suo matrimonio lo costringono ad allontanarsi da Berlino, Johanser cerca rifugio in un paesino della provincia sveva, presso quello che è rimasto della sua famiglia: il fratello di suo padre, con la moglie e un figlio diciassettenne, Benedikt, nel quale Johanser ritrova sorpreso una sorta di se stesso adolescente. Ma, come Benedikt rinfaccia al cugino, "il Romanticismo è finito a Auschwitz", e l'idillio svevo mostra dei risvolti preoccupanti. In esso aleggia infatti il ricordo di un'infanzia infelice a causa dei maltrattamenti subiti da parte dei genitori, i quali sono morti in un incidente d'auto tredici anni prima, lasciando nell'animo del figlio una sorta di rancore che avrebbe preferito essere rimorso.
Un altro pensiero che guida l'agire di Johanser è poi il convincimento che "assumere in sé quello che abbiamo ucciso priva di peccato l'atto di uccidere", che si tratti di una zanzara o di un essere umano. Ed è proprio quello che si realizza nella seconda parte del libro, in cui assassino e vittima vanno errando come uniti in una sola persona, e gli eventi si svolgono con un ritmo che è, sì, truculento e pieno di particolari crudamente realistici, ma anche irreale per la molteplicità dei piani narrativi e per la frammentazione - un altro tratto di ascendenza romantica - della visione autoriale.
Insomma, se il recensore della "Frankfurter Allgemeine Zeitung" ha ritenuto di riconoscere a tratti la penna di Dostojevskij in questa storia tedesca, è anche vero che il rapporto tra delitto e castigo ha qui le caratteristiche attualissime di uno di quei giochi di ruolo a cui Krausser fa espresso riferimento: il protagonista, nel ruolo del Mago, ha assunto una posizione di potere, ha guidato la sorte dei compagni di gioco, ma poi, per uscire indenne da una situazione, ha dovuto sbarazzarsi di un carico eccessivo e ha gettato un "protetto" in pasto ai demoni. Il tessuto narrativo è talmente complesso e accidentato che nella traduzione non è stata riconosciuta a p. 379, Variazione, la ripetizione letterale di un identico passaggio di p. 203-204, con la conseguente inserzione di non giustificate varianti: in compenso, viene reso con grande perizia il linguaggio espressionistico e insieme, si vorrebbe dire, baroccheggiante dell'originale, ricco di virtuosismi e di giochi di parole oltre che di citazioni della più varia provenienza.
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