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L’enciclopedicità di Bloch lo rende tanto ricco di spunti notevoli quanto esposto alle critiche più profonde. Già il considerare la speranza una virtù è ancora troppo teologico e teologale, sebbene nel capitolo 20 del suo “opus maius” essa venga diretta non al futuro ma alle potenzialità insite nell’“attimo oscuro”, al “Nunc aeternum” e al “carpe aeternitatem in momento” (cf. pp. 1409 e 1502, p. 1526 e p. XIX dell’Introduzione di Bodei). Il protestante Moltmann ha dimostrato come la “Teologia della speranza” non sia che un aspetto decisivo de “Il Dio crocifisso”. Tuttavia il problema più irrisolto di Bloch è forse quello del rapporto fra il cosmo e il suo sottoinsieme antropico: davvero l’“Experimentum mundi” scommette sull’“experimentum hominis”? Ossia: davvero la cosmogenesi è antropocentrica? C’è persino chi sostiene la tesi opposta: noi umani saremmo d’intralcio e d’ostacolo per il termine della cosmo(a)gonia. Lo affermavano già le apocalissi ebraiche precristiane, lo ribadisce Nietzsche: “In un angolo remoto dell'universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari, c'era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della storia del mondo, ma tutto ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire. Era anche tempo: difatti, sebbene si vantassero di aver già conosciuto molto, alla fine avevano scoperto, con grande riluttanza, di aver conosciuto tutto falsamente. Essi perirono, e morendo maledissero la verità. Così accadde a quei disperati animali che avevano scoperto la conoscenza'' (incipit di “Verità e menzogna in senso extramorale”, 1873).
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