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scheda di Tuccari, F., L'Indice 1996, n. 1
Alla domanda "che cos'è una nazione" sono state date, negli ultimi due secoli, risposte assai varie. Da un lato, vi è chi ha sostenuto che la nazione si definisce per il suo riferimento a elementi di carattere oggettivo quali ad esempio la lingua, la religione, il territorio o la razza. Dall'altro, vi è invece chi ha insistito soprattutto sulla sua natura soggettiva o volontaristica: così, per citare il caso forse più celebre, Ernest Renan, per il quale la nazione non sarebbe altro che un "plebiscito di tutti i giorni", la volontà di vivere insieme facendo valere una ricca eredità di memorie comuni. Il libro di Walker Connor - che raccoglie nove saggi pubblicati tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni novanta - suggerisce una risposta almeno per certi aspetti originale. La nazione ovvero l'"etnonazione" - come Connor invita a chiamarla con qualche ridondanza - non è il prodotto di dati per così dire fattuali e tangibili, ma di una fede, di una disposizione psicologica di massa che ha connotati prepotentemente emotivi e non razionali: "Essa è un gruppo di persone che sente di essere apparentata ancestralmente", una comunità di individui legati da un "sentimento di consanguineità". Alla luce di questa definizione, l'autore segue un duplice percorso. Da un lato, mostra con quale forza dirompente gli etnonazionalismi abbiano continuato ad agire sulla superficie e nel sottosuolo della storia del secondo dopoguerra. Dall'altro lato analizza in modo sistematico quali siano stati e continuino ancora a essere i limiti della ricerca contemporanea in questo campo.
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