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Naturalmente è un dramma e naturalmente è un dramma d'amore. E come con L'ETA' DELL'INNOCENZA l'autrice scrive di rinuncia e di espiazione. C'è il classico triangolo: Lui: giovane, prestante, di media cultura (alta per i suoi tempi) intelligente, chiuso e con un forte senso di responsabilità. La moglie: malata immaginaria, di qualche anno più vecchia di lui e che a forza di credersi malata assume l'aspetto che hanno i malati . Abbruttendosi nel corpo e nell'anima. L'altra: Parente povera della moglie, arrivata nell'umile dimora per alleggerire la sofferenza materiale della donna. Il sentimento tra Ethan e Mattie è graduale (non lo diceva anche Hannibal Lecter che si desidera ciò che si vede ogni giorno?) ma reciproco, ma mai fra di loro ci sarà del sesso, perché il sesso in questo contesto (anche solo immaginato) avrebbe abbruttito e abbassato il livello del sentimento provato. C'è una scena in particolare: lei sta cucendo una stoffa e lui dall'altra parte del tavolo accarezza la stoffa e alla fine ne bacia l'orlo. Ragazzi sarò un po' sentimentale, ma l'erotismo non è solo nel fare l'amore. Tutto bello, tutto dolce, , tutto sentimentalmente forte, eppure il finale ci riporta alla realtà, e ci ribadisce che siamo si persone pronte ad immolarci per la giusta causa o per l'onorevole sentimento, ma che comunque questo gesto o pensiero dura lo sprazzo di un minuto e che le conseguenze sono sempre più reali e forti del sogno che ci guida. In questo racconto lungo della Wharton c'è tutta l'onestà dell'essere umano e di conseguenza (non essendo in una soap- opera) anche la debolezza e la miseria.
Recensioni
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WHARTON, EDITH, Ethan Frome, Marsilio, 1995
HAWTHORNE, NATHANIEL, Opere scelte, Mondadori, 1994
HAWTHORNE, NATHANIEL, Il fauno di marmo, Giunti, 1995
recensione di Rognoni, F., L'Indice 1995, n.11
"Un grande scrittore crea i suoi precursori", ha detto Jeorge Luis Borges, formulando un paradosso spesso citato, ma del quale raramente viene ricordata la prima occasione. Si tratta di una conferenza del '49 (ora in "Altre inquisizioni", 1942) sullo scrittore americano Nathaniel Hawthorne (1804-64): il "grande" che lo avrebbe "creato" come suo precursore è Franz Kafka; l'opera specificatamente in questione - "kafkiana" appunto, calata in "un mondo di castighi enigmatici e di colpe indecifrabili" (Borges) - l'abbacinante racconto "Wakefield" (1835), storia di un uomo qualsiasi, che, in un giorno qualsiasi, senza alcun motivo particolare, esce di casa e per vent'anni non vi fa ritorno - ma senza allontanarsi mai più di qualche isolato, senza vivere un'altra vita, solo discretamente spiando quella da cui si è appartato, fedele alla propria terribile 'normalità' a dispetto - ma anche e soprattutto 'in virtù' - della sua assurda trasgressione.
Davvero è probabile che, senza l'esperienza - il "sapore" - di Kafka, che ne "modifica e affina la lettura" (Borges), ora "Wakefield" per noi sarebbe un racconto diverso - un po' come altra cosa sarebbe "L'uomo della folla" di Edgar Allan Poe, se, un secolo dopo Baudelaire, a francesizzarlo definitivamente non fossero venuti anche Sartre e gli esistenzialisti... Ma nel complesso, fatta eccezione per una mezza dozzina di racconti archetipici (fra i quali "La figlia di Rappacini", da cui Octavio Paz ha tratto una pièce teatrale), l'opera hawthorniana è eminentemente "americana", almeno nel senso del suo ossessivo radicamento nel passato puritano, nella predilezione per il 'romance', ossia il romanzo di fantasia, su quello più realistico ('novel'), nello smaccato "debole" per l'allegoria (che spesso si risolve nel suo contrario: nella "Lettera scarlatta", ad esempio, che non è una storia "allegorica" bensì una critica delle tendenze "allegorizzanti", cioè riduttive, mortificanti, che regolano i rapporti umani) - nonché, più inequivocabilmente, per essere stata, diciamo, "strumentale" alla definizione stessa di "letteratura americana".
Qui penso, naturalmente, oltre ai tributi di Poe e Melville (il quale gli dedicò "Moby Dick"), alla monografia che Henry James scrisse nel 1879 per gli "English Men of Letters" ("Hawthorne", Marietti, 1990, trad. dall'americano Luisa Villa), notevole non solo in sé (ché anzi, a conti fatti, il nostro, costretto alla "magra dieta" della cultura indigena, non ne esce granché bene), ma già per il fatto che Hawthorne risulta l'unico scrittore d'oltreoceano incluso nella prestigiosa collana. È un segno, questo, della precocissima canonizzazione, che avrebbe anche i suoi risvolti negativi, se nel frattempo Hawthorne non avesse già cominciato a "far scuola": nell'accezione più nobile del termine, "dialogando" coi suoi successori. L'allievo più illustre è senza dubbio James (vedi il "tema internazionale", mutuato dal "Fauno di marmo", l'uso del personaggio-narratore, come Coverdale nel "Romanzo di Valgioiosa", ecc.): ma al magistero di Hawthorne si iscrivono romanzieri molto diversi come William Dean Howells, Edith Wharton o lo stesso Faulkner. Segnalerei, a proposito della Wharton, la recentissima edizione Marsilio di "Ethan Frome", introdotta da un importante saggio di Cristina Giorcelli, che evidenzia la rete dei rimandi intertestuali a una precisa costellazione di opere hawthorniane.
L'ultima antologia curata da Amoruso per i "Meridiani" comprende, in traduzioni tutte inedite ed efficaci, una ventina di racconti (trad. di Flavia Marenco), i tre romanzi "americani", "La lettera scarlatta" (trad. di Aldo Busi e Carmen Covito), "La casa dei sette abbaini" (trad. di Francesca Montesperelli), "Il romanzo di Valgioiosa" (trad. di Marco Pustianaz), e una scelta dalle lettere e dallo sterminato diario (trad. di Paolo Dilonardo). L'esclusione, per ragioni di spazio, del magnifico seppur imperfetto romanzo "romano", "Il fauno di marmo", sarebbe forse imperdonabile se, quasi contemporaneamente, i "Classici Giunti" non avessero colmato la lacuna con una loro bella edizione, elegantemente introdotta da Agostino Lombardo, l'antesignano degli studi hawthorniani in Italia. Nel '59, lo stesso Lombardo aveva curato per Neri Pozza un'ampia scelta dal "Diario", che chiunque abbia spigolato quella necessariamente più parca dell'Amoruso si compiacerà di trovare ancora in catalogo.
Ecco solo qualcuno degli appunti più brevi, annotati da Hawthorne in vista di romanzi o racconti mai composti. "L'orma di sangue di un piede nudo da seguire per le strade di una città" (che splendida idea per i titoli di testa di un giallo visionario! mentre "Un raggio di sole alla ricerca di un'antica traccia di sangue in una stanza solitaria" potrebbe essere la prima inquadratura dello stesso film). Oppure: "Due persone in attesa di un evento spiano la comparsa dei due principali attori d'esso; scoprono che l'evento si sta compiendo proprio in quel momento e che sono i due attori": chi l'ha poi scritto - o potrebbe averlo scritto - questo racconto? James? Pirandello? Gide? Beckett? lo stesso Borges, o Sciascia? Talvolta la scelta è più difficile, ristretta ai pochi "grandi" che, come Hawthorne, hanno scritto anche per i bambini (vedi il suo "Libro delle meraviglie", Studio Tesi, 1991); ad esempio, chi ha mai sviluppato questo appunto, che promette la gradevole miniaturizzazione del mondo e delle cose propria delle fiabe, e tutta la loro latente, raffinata crudeltà: "Piccoli gnomi che abitano nelle cavità dei denti: trovano un dente otturato con l'oro e se ne servono come di una miniera"?
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