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L'autrice ha la caratteristica di far vacillare nella sua opera i confini tra un genere e un altro. Chi ha letto i suoi romanzi sa bene che sono al limite del romanzo, che la trama è a dir poco appena accennata e nebulosa, tra il fumoso e l'onirico, che i personaggi hanno una quasi inesistente caratterizzazione e tra di loro sono indistinguibili. La paura e il terrore vigenti sotto la dittatura portano difatti ad un annichilimento, ad un ripiegamento coatto nel silenzio, ad una comunicazione, al più, tortuosa, dimezzata, allusiva, vaga e balbuziente, un cortocircuito entro cui e con cui provare a difendersi. Qui l'autrice, nella sua unica ad oggi opera in romeno, si oppone col ritaglio di parole da giornali e ne fa anzitutto un collage arlecchinesco, che col senno di poi riscatta il clima di abbruttito grigio costretto ad essere respirato sotto dittatura. Proietta sulla pagina l'interiorità spezzata dal trauma con appunto cocci di parole, che possono essere riassemblati, ma non possono essere eliminati i segni della rottura, le cicatrici, le fenditure. Occhieggia ai personaggi che l'hanno favorita, mettendosene al servizio, oppure sta attenta a non lasciarsi spingere più in là nella compassione di chi ha subito e rischiato. Raccolta assai vicina alla prosa, enjambements improbabili, assenza di punteggiatura, talvolta persino messa in discussione e alla rinfusa, come quando alla virgola si fa succedere una maiuscola e al punto una minuscola, frasi spezzate, nessun segno di interpunzione che differenzi discorso diretto e discorso indiretto, inconclusioni, sospensioni del discorso, attorcigliamenti, contorsioni, linguaggio triviale. Come procedere nel sogno e nella sua immediata decifrazione negli attimi successivi al risveglio, salvo appena dopo chiudere lì, perché arresisi all'impossibilità di recuperare ciò che è stato e perduto, di ulteriore. Allusioni, allegorie animali, surrealismo, non-sense, assurdità. Serietà e leggerezza. Vissuto ed infanzia coniugati.
basta leggere qualsiasi libro di prosa della Muller per indovinare le sua capacità di poetessa ma anche per intravedere dietro le parole scritte originariamente in tedesco uno stretto raporto di odio-amore con la lingua rumena. Essere o non essere Ion è strepitoso: una continua miscella di gioco e sarcasmo..leggero e pesante allo stesso tempo..superficiale ma anche molto profondo.. Coglie, secondo me, l'essenza dell'essere rumeno/a ma e contemporaneamente un omaggio-critica al paese/gente/lingua che ha fatto diventare l'autrice quello che è oggi: una persona che se stessa ama ed odia allo stesso tempo..
Un volume spiazzante e giocoso, questo proposto da Transeuropa, in cui ad ogni poesia tradotta in italiano fa da specchio una pagina coloratissima e allegra di collage originali della stessa Műller, ottenuti utilizzando ritagli di riviste e giornali, che ripropongono gli stessi versi in romeno. Poesie sospese tra un andamento narrativo e colloquiale, fiabesco o sarcastico: vaporose e insieme concretissime, che assumono di volta in volta l'inconsistenza o la vivacità delle associazioni estemporanee e inconsce, di automatismi-lapsus-collegamenti onirici, di dialoghi stralunati tra personaggi improbabili, inventati o reali. La voce poetante è a volte maschile a volte femminile, può essere o non essere Ion, o qualsiasi altro protagonista; si affastellano i nomi più diversi e le figure più comiche, strampalate, tragiche, patetiche, di un immaginario teatrino dell'assurdo che tanto ricorda Ionesco. Anche i numerosi animali sembrano balzare fuori da un inverosimile paese delle meraviglie: tarme, oche, topi, cuculi, zanzare, volpi, gatti, cani. Un vero zoo urbano, in un paesaggio fitto di treni e autobus, di dogane e fabbriche dismesse, dove le coordinate si intrecciano, le direzioni si confondono, mancano i punti di riferimento e ogni contorno appare sfumato, sballato, sconcentrato. Insomma, la poetessa ammette quasi gioiosamente la sua confusa percezione dell'esistente: "che una certa sensibilità al bailamme ce l'abbia", evidente nei dialoghi smozzicati e straniti, e nelle conclusioni che non concludono, che rimangono sospese e stupite a interrogarsi. Eppure, al di là di questo ritmo narrativo veloce e quasi ansimante, assolutamente privo di punti fermi, qua e là si intuiscono tremori non vinti, assilli di violenze subite e mai perdonate, ironie feroci contro il potere burocratico e militare più ottuso, a ricordarci che anche sotto le sembianze del gioco, del sorriso, del sogno, la poesia può continuare ad essere qualcosa di tremendamente serio, e pericoloso.
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