L'autobiografia delle nostre esperienze scolastiche e familiari è densa di ricordi che si sono impressi nel tempo: alcuni ancora nitidi, altri molto più sfocati, il loro tratto comune è quello di recare con sé il segno di un'ambivalenza non semplice da decifrare. Difficile essere educatori efficaci, se non si è consapevoli di come si comunica e degli effetti che i propri messaggi e le emozioni che li accompagnano producono sui soggetti di cui si è chiamati a prendersi cura. Purtroppo, l'educazione, sia scolastica sia familiare, continua a essere povera di conoscenze e competenze comunicative adeguate: i grandi nodi problematici delle relazioni educative, la disconferma, l'ingiunzione paradossale, l'effetto Pigmalione negativo e i transfert di resistenza veicolati da insegnanti e genitori verso figli e scolari continuano ad agire spesso indisturbati o ricompaiono sotto nuove forme. Imparare a riconoscerli e a prevenirli è necessario, ma non sufficiente: gli educatori devono imparare ad agire meno, mantenendo distanze adeguate. In assenza di queste ultime, il rischio è sempre lo stesso: ricordarsi quel che si è studiato, nel migliore dei casi, per volgerlo alla comprensione dell'altro, dimenticando che l'altro non può essere compreso, se non ammettiamo all'analisi anche noi stessi e i nostri gesti educativi. L'incremento di complessità nella relazione fra scuola e famiglia testimonia che l'assenza di una formazione adeguata alla relazione e comunicazione con i figli non è sempre compensata da una formazione degli insegnanti abbastanza curata e approfondita da consentire loro di giocare un ruolo di supporto. In molti casi, anzi, le difficoltà degli insegnanti sono le medesime dei genitori, come ben sanno coloro che giocano entrambi questi ruoli.
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