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«Perduto lo statuto di nazione autonoma su una propria terra, gli ebrei dispersi sono diventati una nazione in potenza; perduto lo statuto sacerdotale del culto, la religione ebraica è diventata un sacerdozio in potenza. Questo impasto di potenzialità è peculiare di ciò che chiamiamo ebraismo: è come una gestazione perenne che non giunge mai al parto».
La vicenda ebraica incarna mondi storici, simbolici e dottrinari di straordinario spessore, che i saggi di Stefano Levi Della Torre attraversano, si è tentati di dire, con lo stesso poetico «acume» che aleggia nella luce dei suoi quadri. E la vicenda ebraica diviene una lente attraverso cui scrutare questioni cruciali per tutti gli esseri umani. Al cuore vi è il formarsi di una «mentalità collettiva» che si mostra ora in tutta la sua fertile relatività: come scrive Levi Della Torre nel primo dei saggi di questa raccolta, essa «prende forma non solo dai fatti vissuti obiettivamente ma ancor più da come li si racconta: da come si trasformano gli eventi in memoria, la memoria in narrazione, la narrazione in tradizione, la tradizione in identità».Vibrando tra universalità e particolarità, si è condotti allora a ragionare su altri temi fondanti, dall'idea scandalosa di «popolo eletto» - presunzione imputata al popolo ebraico ma in realtà affiorante e vitale in ogni cultura - alla tensione e al conflitto tra la spinta all'insediamento territoriale e le vie della dispersione e dell'esilio.In Essere fuori luogo, il saggio che dà il titolo al libro, protagoniste sono invece quelle tesi del sionismo che vedono nella «diaspora» ebraica un vizio e una colpa, e in Israele la sua cura: ma l'ebraismo, nella sua realtà e nei suoi testi - controbatte Levi Della Torre rispondendo agli argomenti dello scrittore israeliano Yehoshua - non incarna l'elaborazione di un pensiero e di un sentimento dello «stabilirsi», bensì evoca l'esperienza dell'oscillazione tra territorialità e a-territorialità, tra radicamento e sradicamento: una oscillazione in cui sembrano affollarsi quelle più diverse esperienze umane che la stessa Bibbia racconta, contiene, preserva.
La vicenda ebraica incarna mondi storici, simbolici e dottrinari di straordinario spessore, che i saggi di Stefano Levi Della Torre attraversano, si è tentati di dire, con lo stesso poetico «acume» che aleggia nella luce dei suoi quadri. E la vicenda ebraica diviene una lente attraverso cui scrutare questioni cruciali per tutti gli esseri umani. Al cuore vi è il formarsi di una «mentalità collettiva» che si mostra ora in tutta la sua fertile relatività: come scrive Levi Della Torre nel primo dei saggi di questa raccolta, essa «prende forma non solo dai fatti vissuti obiettivamente ma ancor più da come li si racconta: da come si trasformano gli eventi in memoria, la memoria in narrazione, la narrazione in tradizione, la tradizione in identità».Vibrando tra universalità e particolarità, si è condotti allora a ragionare su altri temi fondanti, dall'idea scandalosa di «popolo eletto» - presunzione imputata al popolo ebraico ma in realtà affiorante e vitale in ogni cultura - alla tensione e al conflitto tra la spinta all'insediamento territoriale e le vie della dispersione e dell'esilio.
In Essere fuori luogo, il saggio che dà il titolo al libro, protagoniste sono invece quelle tesi del sionismo che vedono nella «diaspora» ebraica un vizio e una colpa, e in Israele la sua cura: ma l'ebraismo, nella sua realtà e nei suoi testi - controbatte Levi Della Torre rispondendo agli argomenti dello scrittore israeliano Yehoshua - non incarna l'elaborazione di un pensiero e di un sentimento dello «stabilirsi», bensì evoca l'esperienza dell'oscillazione tra territorialità e a-territorialità, tra radicamento e sradicamento: una oscillazione in cui sembrano affollarsi quelle più diverse esperienze umane che la stessa Bibbia racconta, contiene, preserva.
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