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Anno edizione: 2020
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L'ossessione del particolare delle varietà fuori dalle classificazioni: la sua intuizione giovanile. Anarchico platonico come si definisce l'A., poliglotta sempre a confrontarsi col classico, tra ermeneutica e linguistica, se non filologia, nello sfondo di una cultura letteraria di stampo ebraico-greco. Un polymath è però giudicato sospetto. Le relazioni fra parola e mondo e le intensionalità per riconoscersi. Gli autori ricorrenti Shakespeare, Dante, Wittgenstein, Eliot e il pensiero francese. Comparatista e traduttore quasi un gioco. L'illuminazione offerta dall'ebraismo: Marx, Freud, Darwin, Kafka, Schonberg, Levi-Strauss, Wittgenstein, Arrow, Proust, Montaigne....una tribù "malata di Dio" (K.Barth). Il linguaggio in se stesso è infinito con un potenziale però non illimitato. Quel che si dice nell'arte, letteratura, etc. "è chiacchiera inteso come discorso che fa appello alla metafora e all'analogia, mischiati in una poltiglia più o meno impressionistica", per contrastare la morte. Ma ci sono i rumori di fondo. Il discorso umano non può fare a meno della "menzogna vitale" (Ibsen). Esiste il metafisico. Steiner così conclude il volume: "le due meraviglie che giustificano l'esistenza mortale sono l'amore e l'invenzione del futuro verbale. La loro congiunzione, se mai accadrà, è il messianico. 'Colui che pensa alla grande deve sbagliare alla grande' ha detto Martin Heidegger, il teologo-parodista del nostro tempo (dove parodista è inteso nel suo significato più serio). Anche quelli dal 'pensiero piccolo' possono sbagliare alla grande. Questa è la democrazia della grazia, o della dannazione".
L’autobiografia uscita una ventina di anni fa da Garzanti ha il pregio di introdurci a un percorso intellettuale ed esistenziale di grande rilevanza, di pacato ma solido addestramento mentale. Già dal titolo “Errata”che, nella sua ammiccante modestia, in bibliografia rimanda agli errori commessi nella stampa di un libro. Mentre il sottotitolo, “Una vita sotto esame”, sottintende giocosamente chi sia il giudice più severo del cammino umano e professionale dell’autore. «Si può essere a casa propria dappertutto. Datemi un tavolo da lavoro, sarà la mia patria», si è sempre vantato Steiner, indagatore instancabile di paesi, lingue, tradizioni diverse, e tuttavia orgogliosamente fiero delle proprie radici ebraiche, e persino dello stigma persecutorio patito dal suo popolo. A parte qualche perdonabile traccia di narcisismo (più che giustificata, visto lo spessore intellettuale del personaggio), e alcune insistite prese di posizione ideologiche, discutibili nella loro spontanea imprudenza, tutto il libro risulta piacevolmente leggibile, soprattutto nelle pagine più direttamente personali, rievocanti l’infanzia e gli anni di formazione. L’ansia e la voluttà di imparare hanno assediato ogni attimo della vita di George Steiner, con il timore di avere disperso e sprecato molte energie in troppe ramificazioni del sapere, e il rammarico di non averne approfondite ancora di più. Basterebbe tuttavia leggere lo splendido ultimo capitolo del volume per convincersi dei meriti, ben maggiori delle eventuali colpe, di questo grande, saggio e lucido intellettuale. Maestro e discepolo insieme, ha vissuto dedicandosi allo studio, alla riflessione, all’esegesi, alla passione per il linguaggio in ogni sua espressione: l’esistenza, per quanto lunga e piena di incontri, avvenimenti e libri, è sempre troppo breve per chi come lui, polymath versatile e vorace, manifesta la necessità e il desiderio di sopravvivere alla propria transitorietà umana.
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