Il 2 giugno del 1259 giunse nel Regno la fresca sposina del Re Manfredi. Era bella, di persona, e di gentili maniere, nei più verdi anni dell'età sua, «quando passò a marito». Oltre a questi pregi naturali ella portò in dote molte Terre, che nell'Epiro le furono date da Michele suo padre: fatto su cui gli scrittori hanno taciuto, ma che un rescritto ci ha fatto sapere. Con questo matrimonio Manfredi non solo estese l'ampiezza dei Regni del padre, ma con Michele il Despoto acquistò un amico vicino e potente, sia per l'estensione dei suoi stati che per essere questo Principe prode e valente di sua persona». Così l'Anonimo: - Arrivao in Apulia cu octo galere la Zita de lo seniore Re Manfridu fillia de lu Desportu de Epiru, chiamata Alena accompagnata da multi Baruni et damicelle de lu nostru Reami, e de quillo de lo soi palre, et sbarcao in lo portu de Tranu dovi l'inspectava lu seniore Re lu quali quando scisce la zita da la galera l'abbrazzao forti, et la vasao». Lo sposalizio avvenne a Trani e non a Barletta, forse per fare più colpo sul suocero, tale fu la pompa sfoggiata dal Re e dalla corte, le sete di Bari indossate dai cortigiani, e le divise sfoggiate dai cavalieri per non sfigurare con una regina come Elena che amava il lusso in cui era cresciuta. «Dopo che l'appo conducta per tutta la nostra Terra tra l'acclamazione de tutta la genti, la mennò a lu castiellu, dove ze foro grandi feste et suoni, et la sera foro facti tanti alluminere, et tanti falò in tutti li cantuni de la nostra terra, che paria che fosse die. Lu juomo appressa lu seniore Re creao multi cavalieri tra li quali foro li nostri concittadini messeri Cola Pelaganu et Fredericu Sifula che aviano accompagnata la Reina in lu viaggiu cuui le doi galeri della nostra terra. La dicta Reina è multa avvenente et de bona manera, et è più bella de le prima mogliera de lu Re; et se dize, che non have più de dizesette anni». A gloria e onori non mancarono conferme greche per lo Svevo, al quale il despota cedette le conquiste sulle coste di Durazzo e Valona, che andavano a integrare la dote principesca di Elena, con ex territori normanni, quali Corfú, Butrinto e Kanina. Ma l'euforia durò poco e quando scese Re Carlo d'Angiò, il primo pensiero fu quello di entrare in Benevento per donarla al Vaticano, essendo già stata città del Papa, e perciò fu punita dalla Chiesa e dal Re. Essa fu «messa a sacco, gli abitanti sgozzati, l'Arcivescovo confessore di Manfredi spogliato delle insegne ed incatenato, le Chiese stesse spogliate dei sacri arredi. Carlo ebbro della vittoria raccoglieva i tesori di Manfredi conservati dal vile Maiella; e dando notizia al Papa della vittoria, lo gratificava con una parte delle regie spoglie, così spartendosi la veste della vittima». A dire del cronista stessa sorte subirono «i devoti di Manfredi, o spenti con lui o preda del vincitore, o esuli e raminghi sui monti e fuori i confini del regno». Giovanni da Procida fu tra costoro e subito dopo corse anche a Roma per «trionfar con la scienza de' nemici e de' tempi», con Re Carlo che fece della vittoria una barbarie. L'infelice vedova Elena «alla trista nuova passò con i suoi quattro figlioletti da Lucera in Trani, per fuggire in Epiro, e nel dì tre marzo si rifugiò nel castello. Ma anche sugl'innocenti vegliava l'ira implacabile di Roma; e venuto questo a conoscenza di alcuni frati, che a commissione di Papa Clemente girandolavano pel regno per ribellarlo a Manfredi, tanto si adoperarono che la fecero chiudere in quel castello, e ne diedero avviso al Re Carlo». Ben due ragazzi si salveranno per dare altrove seguito alla dinastia Sveva, mentre la Regina fu costretta a ricorrere ad uno stratagemma per avere salva la pelle e rifarsi una vita...
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