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Ciò che colpisce di questo testo, a metà fra un romanzo, un diario di viaggio e un memoir, è l'introspezione culturale, la volontà di scandagliare e "vivere" la cultura africana. Dal breve scambio di battute con l'autrice ho saputo che lei e il suo compagno hanno vissuto per 12 anni in Africa: e si vede, gli odori e le sensazioni del continente nero trasudano in ogni pagina, in ogni riga, in ogni aneddoto. Personalmente è ciò che intendo quando affermo che un romanzo dovrebbe essere ambientato solo in luoghi ben conosciuti, altrimenti si perde la genuinità del tutto. È lodevole inoltre l'idea di narrare dei problemi dell'Africa: le guerre, le conseguenze del colonialismo europeo, la corruzione, la droga, le malattie, l'apartheid sudafricana. Sono tutti elementi fortemente caratterizzanti e di cui il romanzo è pregno. Anche troppo, direi. E qui arriviamo alle note un po' dolenti del testo: la prolissità e la ripetitività. Mi è già capitato di leggere romanzi e racconti pubblicati da Lettere animate, una casa editrice giovane e intraprendente ma che non spende molti sforzi nell'editing e nella cura del testo. Questo è un romanzo che, se accuratamente lavorato, potrebbe dare molto di più, e conservare il suo spirito intatto anche dopo un trattamento "snellente". Molte pagine sono dedicate ai ricordi, alla malinconia, alla tristezza della partenza: ma si potrebbero esprimere diversamente questi concetti, magari, appunto, rendendo il tutto più scorrevole. Altro elemento problematico sono i continui refusi, non ortografici quanto in termini di punteggiatura. Insomma, per concludere, questo è un testo di cui consiglio la lettura, sapendo sin dall'inizio che non è un romanzo d'azione, quanto piuttosto di riflessione. Ma un consiglio (indiretto) che voglio dare a quelli di Lettere animate è: investite di più sui vostri testi, perché correte il rischio di mandare in commercio dei prodotti un po' grezzi (come qualsiasi testo è prima dell'editing).
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