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Un libro "lento", di altri tempi, in cui la forma e la scelta delle parole (gli aggettivi!) sono curati con perizia e, oserei dire, con amore alla ricerca della parola "giusta". La trama, ben costruita, scorre lentamente come lentamente scorrono gli anni dell'io narrante e le sue vicissitudini. La storia è divertente, ma amara. Tragica nella sua ironica realtà. Non è un libro che si legge tutto di un fiato, ma non perchè non piaccia, anzi. Le descrizioni dei personaggi, delle situazioni e dei sentimenti sono così calzanti e così accurate che non si possono leggere "a tirare via", piuttosto si leggono e poi rileggono perchè la ricerca stilistica impone che nulla vada perduto. Questa è la forza di questo romanzo, ma anche la sua debolezza: lo pone ad un livello "non per tutti". Tanto per essere chiari: chi, de "Il nome della Rosa" di Umberto Eco,ha saltato le prime pegine descrittive non deve leggerlo. Chi, di un romanzo, predilige "l'azione", non deve leggerlo. Chi di una storia preferisce la trasposizione cinematrografica, lo ignori. Questo è un romanzo pregevole soprattutto per la devozione al linguaggio, oltre che per la condanna dei nostri sistemi di riferimento. Peccato solo che sia ormai introvabile
Il libro mi ha suscitato delle emozioni diverse. Primo :e' un bellissimo libro ma e' triste; anche se non lo percepisci razionalmente, almeno non tanto quanto lo e', e' profondamente triste. Nello stesso tempo in alcuni aspetti e' graffiante, ironico, sapientemente malinconico; e', nel contempo, la sintesi e l'espressione massima della PERCEZIONE DEL FALLIMENTO. E' l'eccesso e la misura del vivere, la stessa sensazione d'impotenza davanti all'ineluttabilita' degli ingranaggi fagocitanti di questa nostra italietta, sia del lavoro statale che di qualsiasi altra manifestazione. Sembra quasi di vivere in una rappresentazione allegorica piuttosto che nella vita stessa. A volte divertente, tristemente divertente. Comunque triste.
Un romanzo sempre teso e credibile, una lettura gradevole ma che fa riflettere, una morale che ribadisce, ancora, l’inutilità della poesia e della letteratura nella società borghese industrializzata, uniformata e decisamente utilitarista.
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