Il volume descrive da diversi punti di vista una proprietà tra le più affascinanti dell'istituto lingua, semplice al punto da stare sotto gli occhi di tutti e allo stesso tempo così complessa da assorbire vite intere di provetti studiosi: anche quando tradizionalmente conservativa come l'italiano, la lingua vive di un continuo movimento, di "incessanti fusioni, di impasti e dissoluzioni nel limo della storia", ha scritto Gian Luigi Beccaria in Tra le pieghe delle parole, avvicinando questo assiduo avvicendarsi di continuità e trasmutazione alla suggestiva leggenda della fabbricazione dei primi violini, per i quali sembra che venisse impiegato il legno di vecchi remi dismessi dalla flotta veneziana e trasportati lungo il Po fino a Cremona. Il fiume che scorre, l'albero che perde le foglie in autunno per poi rinverdire in primavera, le età della vita umana come le fasi del corso solare sono solo alcune delle tante immagini elaborate nel corso dei secoli per descrivere l'inarrestabile vitalità dell'organismo linguistico. La crescita "naturale" del sistema lingua è esaminata da Coletti nei suoi meccanismi principali: la nascita e il battesimo di parole nuove per sopperire alle carenze del vocabolario; i casi di produzione sovrabbondante di termini e forme per una stessa cosa o funzione; la "selezione naturale" che colpisce le voci che non servono più. In una prospettiva che tiene conto tanto del divenire storico quanto dei risvolti sociali, ci raccontano dei "nuovi nati" del sistema lingua il primo capitolo, il quarto e il settimo, dedicati rispettivamente al grande laboratorio del volgare duecentesco ("L'officina di una lingua che sta aprendosi alla cultura, ricavandola dai vecchi domini e competenze e immettendola dentro un nuovo linguaggio e tra nuovi protagonisti"; al rapporto burrascoso, almeno nei secoli passati, tra neologia e lessicografia italiane (soltanto "spintonando" a esempio entrarono nel Vocabolario della Crusca del 1691 termini di recente introduzione come bussola, parrucca, protestante, telescopio); alla trasformazione dei nomi di marchi in nomi comuni: aspirina, cellofan, eternit, nylon, yoyo, solo per fare qualche esempio di marchionimi diffusi nelle principali lingue europee. Non mancano infatti nel volume ‒ altro pregio, non così scontato negli studi di linguistica italiana ‒ frequenti note di confronto fra i meccanismi produttivi dell'italiano e quelli di francese, spagnolo, tedesco, inglese: i molteplici e reciproci prestiti tra patrimoni linguistici di nazioni diverse costituiscono forse il più potente motore di creatività e crescita di una lingua, che si misura anche sulla base del serbatoio di "parole mancate" che essa va accumulando nel corso dei secoli. Proseguendo la metafora organicista l'autore le dichiara voci "abortite", "nate morte" o "baby pensionate", illustrandone il catalogo bizzarro e divertente: da buonsensaio a nullivendolo, passando per i tantissimi agglomerati destinati a vivere un giorno sulle pagine dei quotidiani (a esempio i composti con acchiappa, ammazza, salva: acchiappavoti, ammazzacode, salvaprocessi) e per l'altrettanto ricco campo di neoformazioni e neosemie strettamente connesse a una fase storica, a un problema sociale, a un movimento politico (girotondismo, malpancista, manipulitismo, rapallizzazione nel significato di "devastazione del paesaggio dovuta a edilizia selvaggia"; e tutti conosciamo la produttività, specie in questi ultimi anni, di un suffisso come -poli nel senso di "corruzione diffusa": calciopoli, vallettopoli ecc.). Il filo doppio che lega lingua, società e politica non solo è esaminato nell'originale capitolo che descrive le "parole condannate" da sentenze di tribunale, ma è indagato a fondo nell'ultima parte del volume, dedicata a lingua e stile dei quotidiani schierati con la destra politica e all'istruttiva storia delle voci solidarietà e invidia sociale. Se la parola è sempre veicolo di valori, la parola politica lo è in modo concentrato e rivelatore: la logica del rovesciamento che, secondo l'autore, dirige ‒ o dirigeva ‒ la narrazione costruita dai giornali di destra sull'operato del passato governo si è giocata sul radicale capovolgimento del significato e del valore di termini quali stato, popolo, cultura, democrazia, legalità, giustizia. Una rivoluzione di parole, ma con un potenziale così dirompente da segnare in profondità atteggiamenti e posizioni a tutti i livelli del vivere sociale.
Margherita Quaglino
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