(Firenze 1449-92) uomo politico e letterato italiano. Figlio di Piero di Cosimo e di Lucrezia Tornabuoni, seguì, adolescente, le lezioni di G. Argiropulo, di M. Ficino e di C. Landino. Fu amico di L. Pulci; amò e cantò Lucrezia Donati. Nel 1469, morto Piero, assunse il governo di Firenze, consolidando la signoria con abili riforme costituzionali fondate su un accorto compromesso con le istituzioni democratiche preesistenti (formalmente conservate e anzi valorizzate, in realtà esautorate e svuotate di ogni libertà e autonomia decisionale). Dopo la partecipazione alla guerra veneto-ferrarese (1482-84) e l’intervento risolutore nella congiura dei baroni (1485-86), Lorenzo raggiunse il culmine della sua fortuna politica e divenne il supremo moderatore dei conflitti fra la Napoli aragonese, la Milano sforzesca e la Roma di Innocenzo VIII e, più in generale, fra tutti gli stati italiani. Protettore di artisti, filosofi e letterati, si fece promotore della notissima Raccolta aragonese, un’antologia della lirica italiana inviata a Ferdinando d’Aragona nel 1476.Lorenzo fu egli stesso scrittore eclettico e fecondo (i suoi scritti, spesso non datati, sono a volte di attribuzione incerta). Le prove anteriori al 1467-70 attestano la straordinaria facilità con cui seppe aderire alle tendenze più diffuse nella letteratura di trattenimento di quell’epoca: dalla narrativa di tipo boccaccesco nelle due novelle Giacoppo e Ginevra, alla lirica petrarchesca (il nucleo giovanile delle Rime) e, soprattutto, al componimento comico-realistico che ha per modello Pulci; è su quest’ultima linea che si collocano i poemetti L’uccellagione di starne e Simposio (noto anche col titolo I beoni) e l’ammirevole, pungente idillio rusticale - la cui paternità laurenziana è però ancora discussa - La Nencia da Barberino, pervenuto in quattro redazioni, in cui si finge che il contadino Vallera tessa le lodi ingenue e corposamente realistiche della sua Nencia.La produzione posteriore al 1470 appare invece fortemente segnata dall’influsso di Marsilio Ficino. Aspirazione a Dio e rigida condanna dei beni mondani caratterizzano il dialogo filosofico Altercazione, i 7 Capitoli religiosi, il Comento, d’ispirazione neoplatonica, a 41 sonetti d’amore - strutturalmente e stilisticamente connesso alla prosa dantesca della Vita nuova e del Convivio - e il secondo nucleo delle Rime, in cui gli schemi stilnovistici vengono piegati ad aggraziata compostezza rinascimentale.Posteriore al 1484 è infine un ultimo gruppo di opere, dove il gusto aristocratico della separazione della letteratura dalla vita cede il posto a un realismo più maturo e complesso di quello dei poemetti burleschi giovanili, più profondamente solcato da una nota di malinconia, sensibile soprattutto nella pensosa conclusione del poemetto rusticale e classicheggiante Corinto, nelle meste pene amorose dell’idillio ovidiano Ambra, in alcuni momenti del poema bipartito Selve d’amore (due serie di 32 e 142 strambotti), tutte opere nelle quali è notevole l’influsso di Poliziano. Questa malinconia riaffiora anche nella sacra Rappresentazione di san Giovanni e Paolo (rappresentata nel 1491), un lavoro concepito per secondare il gusto del pubblico fiorentino e che può stare sullo stesso piano di altre opere non datate, anch’esse destinate al popolo, come le Laudi (9 di sicura attribuzione), le Canzoni a ballo (una trentina), i licenziosi Canti carnascialeschi. Fra questi ultimi è giustamente celebre la Canzona a Bacco che, animata da un ritmo facile e incalzante in cui si concreta musicalmente l’invito a godere del tempo che fugge, esprime in realtà, nel modo più intenso, il vivo sentimento dell’inquietudine e della precarietà.Nella molteplicità e contraddittorietà dei suoi atteggiamenti psicologici e artistici (mai innalzati a compiuto capolavoro) l’opera di Lorenzo riflette esemplarmente i caratteri dell’umanesimo fiorentino del secondo Quattrocento: un’età e una civiltà in cui convivono e operano un Ficino e un Pulci, un Pico e un Poliziano, in cui s’incrociano e si scontrano interessi terreni e tensioni contemplative, e si delineano sempre più nettamente l’inquieta sfiducia nella «virtù» umana e la tendenza a cercare rifugio nella fede, nell’arte, nella cultura.