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Shakespeare non è stato l'unico drammaturgo inglese a scrivere opere di successo, la duchessa di Amalfi di Webster ne è la prova. Un'opera che trae origine da una storia vera, offre con la sua protagonista un grande ritratto femminile.
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recensioni di Papetti, V. L'Indice del 2000, n. 01
Ferdinando, duca di Calabria, ordina a Daniel de Bosola di spiare la sorella gemella, la duchessa di Parma, fingendosi mezzo addormentato, "like a politic dormouse". Manganelli cambia il furbo ghiro in "machiavellica talpa sonnacchiosa": un caso raro in cui si permette di giocare con le nette e severe immagini di Webster. In genere cesella con precisione l'essenzialità dell'originale pur immettendo nella battuta maggiore spaziatura, accompagnandola con un più ampio gesto oratorio. Il Cardinale rimprovera l'amante riottosa: "Ringraziami, piuttosto, donna: io ti ho staccata dal tuo posatoio di melanconia, ti ho posto sul mio pugno, e indicato la preda, e t'ho lanciato a volo, a coglierla. Ti prego, baciami".
La traduzione della Duchessa fu fatta nel 1978 per il Teatro Stabile di Torino che la mise in scena al XXI Festival dei Due Mondi a Spoleto, per la regia di Mario Missiroli. Manganelli pensava anche di pubblicarla con un apparato di note e un'introduzione, come si deduce dalla sua copia del testo inglese - nell'edizione curata da John Russell Brown (1964) -, su cui aveva fatto annotazioni e freccette a matita come sua abitudine.
Del saggio introduttivo del curatore due sono i punti che lo interessano: il carattere rituale delle scene in dumb show, della mascherata dei pazzi, degli oggetti simbolici, e il denso impasto linguistico: "ritroviamo le parole di William Alexander, Chapman, Donne, di Florio che traduce Montaigne, di Grimeston che traduce Matthieu, di Guevara,
Joseph Hall, Jonson, Marston, Nashe, Overbury, Pettie che traduce Guazzo, Sidney...". Manganelli è affascinato dal linguaggio aforistico, dalla geometrica precisione di Webster che dell'attore eccel-lente aveva scritto - e Manganelli lo aveva evidenziato - "siede in un teatro pieno, e ti sembra di vedere tante linee tirate dalla circonferenza costituita da altrettante orecchie mentre l'Attore è il Centro". Figure geometriche come il triangolo e il cerchio sono per Webster ideogrammi del reale. I suoi personaggi hanno quella particolare abilità a invadersi reciprocamente, a cancellarsi e riapparire nel volto dell'altro, a rivoltarsi improvvisamente contro se stessi, ostili eppure generosi di confessioni e autoaccuse, come i fini dialoganti di A e B. La Duchessa ha virtù virili, Antonio femminili, Ferdinando, innamorato e omicida, si doppia in Bosola, che è il suo sicario e la sua coscienza. Il fratello Cardinale ripete a rovescio il ménage della sorella con Antonio - "tre illustri medaglie di un'unica foggia" sono i tre fratelli all'inizio del dramma. Tutti meditano sull'inferno, ed essendo "adediretti" perdono gradualmente ogni ombra di verosimiglianza psicologica. L'oscurità invade gradualmente la scena e le loro voci sono aureolate da un'eco spettrale. Tutti collaborano a vivere l'inferno come luogo di morte-in-vita, e ne anticipano i contorni. Il cardinale: "Mi confonde un problema a proposito d'inferno: qui si dice che all'inferno vi è solo un fuoco materiale, tuttavia non brucia tutti gli uomini allo stesso modo (...) Se guardo nel vivaio di pesci del giardino, un braccio armato di rastrello cerca di colpirmi". Bosola: "Una nebbia: io non rammento: uno sbaglio, come ho visto spesso a teatro. Io muoio: siamo mura interrotte, tombe a volte che, in rovina, non danno eco". Bosola e Antonio, la Duchessa e Ferdinando il licantropo, il Cardinale, tutti sono emigrati nell'inferno di Manganelli. L'anfesibena che ne è il loquace illustratore lo descrive così: "L'inferno è della natura della parola, che pronunciata vola nel mondo superno e nell'infimo, incatturabile volatile".
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