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LEVI, GRAZIA / PASINI, FRANCESCA, Donne senza cuore
GUACCI, ROSARIA (A CURA DI) / MIORELLI, BRUNA (A CURA DI), Ciao bella. Ventun percorsi di critica letteraria femminile oggi
recensione di Frabotta, B., L'Indice 1996, n. 8
Sotto il titolo un po' enigmatico di "Ciao bella", Rosaria Guacci e Bruna Miorelli raccolgono un'antologia di saggi a loro parere esemplari dei percorsi della critica letteraria femminile oggi.Per la precisione i percorsi sono ventuno (ossia ventun testi critici, fra i quali alcuni di specialiste come Marisa Bulgheroni e Anna Chiarloni) e, assai onestamente, le curatrici confessano nell'introduzione di aver scelto seguendo le inclinazioni di un gusto del tutto personale e quindi inevitabilmente parziale e fazioso. Il che va benissimo, trattandosi di umane lettere in cui, per fortuna, se non l'arbitrarietà, può però sempre valere un principio di responsabile libertà.
Se non che poco avanti, le curatrici, in parte smentendosi, attribuiscono al loro criterio di scelta un valore etico e addirittura politico, ai nostri occhi più impegnativo e, perché no, anche sospetto.In realtà poi quello che un po' pomposamente viene presentato come un "progetto politico" corrisponde più che altro a un atteggiamento psicologico ed esistenziale, a un particolare modo di essere nei confronti della pratica letteraria, in altri tempi si sarebbe detto a "una tendenza".La critica letteraria al femminile dovrebbe cioè realizzare, fra critico-donna e autrice, un'"identità bifronte", ovvero una sorta di amorosa e creativa immedesimazione che esalti l'incontro fra soggetti, la prevalenza dell'esperienza vissuta sui testi e una terza scrittura per così dire di frontiera fra saggistica, giornalismo e narrazione.
La bestia nera è ovviamente la critica accademica e in questa esecrazione non ci si può non schierare con le responsabili dell'antologia, tanto più che ormai da un trentennio la netta prevalenza del furore metodologico e la totale supremazia della cultura sulla letteratura hanno trasformato gli studi letterari in una evanescente e confusa nozione.Mi stupisco dunque che la cultura femminista qui rappresentata voglia ancora conservare, almeno formalmente, l'identità di un genere, la critica letteraria appunto, che anche questo libro contribuisce, a torto o a ragione non saprei dire, a erodere e a smantellare.Tra i brani raccolti, almeno tra i più originali e solidi, si possono riconoscere tre principali orientamenti.
Il primo, che chiamerei "culturalistico" e che ha in Nadia Fusini il suo capo carismatico, interroga le opere letterarie come banco di prova di quesiti altrove formulati, nella psicoanalisi in primo luogo, ma anche nelle varie scienze umane rigogliate nella seconda metà di questo secolo. Ne deriva uno stile saggistico ipnotico e flessuoso che attorno al tema di base concerta una ricca sinfonia di variazioni, associazioni e allusioni tanto più affascinante quanto più vasta e profonda è la cultura di chi scrive.
Più drammatica e movimentista è invece la ricerca perseguita dalla rivista milanese "Lapis", ai margini del difficile nesso fra ricerca d'identità e scrittura.Il bel saggio di Paola Radaelli, "Tra Scilla e Cariddi", ripercorre un tema non nuovo nella storia letteraria, il rapporto fra vita e letteratura che per una donna che voglia scrivere senza rinunciare alla propria coscienza femminista sembra oggi ancora più cruciale e tormentoso.
Infine potremmo indicare in Grazia Livi l'esponente più persuasiva della terza tendenza, una sorta di affabulazione "privata", a metà fra il ritratto biografico e la confessione autobiografica, qui assai ben rappresentato da un delizioso raccontino critico dedicato ad Anna Banti.Ma si potrebbe pensare anche al libro conversazione imbastito dalla stessa Livi con Francesca Pasini e recentemente pubblicato dalla Tartaruga, per capire la stretta parentela di questa prosa con un altro dei generi minori qui prediletti, il diarismo affettuoso e sentimentale da journal intime, anche in passato così caro alla penna femminile.
Insomma, in questo trionfo della "scrittura" su generi codificati da una vetusta tradizione retorica, il femminismo letterario rivela la sua appartenenza al modernismo novecentesco, così come, dal punto di vista filosofico, la creativa affinità con i pensatori che nel corso del secolo hanno contribuito a sgretolare la centralità del Soggetto della cultura umanistica occidentale.Questo tipo di saggismo dunque, tutto intento all'avanzamento della conoscenza e della coscienza femminile, è necessariamente meno sensibile all'aspetto propriamente estetico dell'opera letteraria, che gioca la sua parziale autonomia proprio sulla priorità che essa rivendica, iuxta propria principia, su qualsiasi altra insorgenza del vissuto dell'autore e dell'autrice.
E, come capita ogniqualvolta l'istanza politica prevale su quella estetica, la critica letteraria è costretta a rinunciare a ciò che ne costituisce l'anima addirittura etimologica, ovvero alla sua facoltà valutativa, al suo diritto-dovere di giudicare e di separare il buon seme dalla gramigna e dalle effimere efflorescenze che spesso lo soffocano.Ovviamente è necessario disporre, se non di un sistema, almeno di una vasta gamma di valori che non si limitino a segnalare l'utilità psicologica o sociologica di alcuni contenuti.Così come è saggio non dimenticare che la letteratura è soprattutto una questione di lingua e che nessuno sospetterà il femminismo italiano di sciovinismo, se decidesse, una volta per tutte, di limitare la propria esterofilia a favore di scrittrici che hanno usato e usano la nostra bella e sfortunata lingua.
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