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La necessità di raccontare le donne della Divina Commedia ha spinto Silvia Bragonzi a scrivere “Le donne di Dante” (Manni) in cui cinque monologhi accendono un faro di conoscenza preciso su Francesca, Sapia, Pia, Picarda e Cunizza invitate dall’autrice a venere fuori dall’Iinferno, dal Purgatorio, dal Paradiso e a raccontarsi. Una narrazione che procede secondo i sentimenti delle protagoniste, donne vittime di violenza, violate, obbligate, sottposte alla sofferenza di un rifiuto, all’obbligo di un matrimonio da altri deciso. Sono donne alle quali Bragonzi vuole ridare dignità, quella dignità che nemmeno la narrazione dell’opera dantesca sembra dare loro, conservando per le loro figure pochi attimi di racconto. Donne realmente vissute e immortalate nella Divina Commedia che restituiscono al lettore i sensi di un mondo patriarcale in cui la donna o era santa o era altro e comunque mai meritevole di quel rispetto che oggi sembra scontato. Donne che potrebbero per molti versi essere contestualizzate e come le donne di oggi spesso incapaci di difendersi eppur consapevoli della loro essenza, della loro umanità. E ci si commuove ancora oggi al femminicidio di Francesca e alle sofferenze di Pia de Tolomei, ci si fa prendere dall’ambizione politica di Sapia, donna troppo forte, volitiva e invidiosa (come darle torto) della libertà dell’uomo. Così come si ammira la forza d’animo di Piccarda Donati che consegna la sua vita alla morte pur di non unirsi ad alcun uomo e forse qualcuno ancor si meraviglia alla “leggerezza” di Cunizza da Romano, donna dipinta come lussuriosa che pur seppe esercitare la caritas aprendo il suo mondo ai poveri e ai bisognosi. Bella la narrazione, il fluire delle parole, il restituirea queste donne non solo la voce, ma soprattutto.
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