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Anno edizione: 2020
Anno edizione: 2020
Anno edizione: 2023
Una narrazione essenziale, attenta al gesto più quotidiano, ci mostra l’anima di una donna che, attraverso un isolamento desiderato e sofferto, tenta di trovare se stessa.
«Una vita pura, essenziale, che brilla nei dettagli minimi» - Claudio Magris
«In questa storia c’è tutto Peter Handke, con la sua particolare, originale visione del mondo che implica necessariamente la provocazione, anche quando è sotterranea ed emerge solo a tratti. Qui è una donna a fare questa scelta coraggiosa e dolorosa, ad andare alla scoperta di se stessa» - la Repubblica
Questo romanzo - da cui lo stesso Handke ha tratto il film omonimo - è forse tra i più rappresentativi della cultura di lingua tedesca degli ultimi anni. Al suo apparire in Italia, "La donna mancina" riscosse successo di pubblico - particolarmente sensibile alla questione femminile - e di critica: Claudio Magris vi scorse la manifestazione di «una vita pura, essenziale, che brilla nei dettagli minimi», e Alighiero Chiusano fu pronto a scommettere sulla sua durata a dispetto «di tante altre roboanti cosmogonie sperimentali». Lasciate cadere le trasgressioni astute e plateali degli anni Sessanta, l'implacabile e delicata macchina narrativa di Handke ha conquistato uno sguardo limpido e impassibile come quello di una macchina da presa. Quello sguardo offre qui il ritratto di una donna sulla soglia misteriosa della sua «lunga stagione di solitudine».Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Marianne allontana il marito chiedendogli di lasciarla da sola con il figlio, senza apparente motivazione. Non è sempre a suo agio nella sua nuova condizione di solitudine, è spesso stanca e assente, e subisce le ripetute intrusioni delle persone intorno a lei che tentano di dissuaderla dalla sua scelta. Eppure le piccole cose che Marianne ricomincia a fare per sé la aiutano pian piano a trovare un nuovo equilibrio, ad accorgersi della solitudine degli altri e a riconoscersi nella sua indipendenza, libera dal giudizio e dai condizionamenti altrui. Mi sono imbattuta in questo romanzo breve e densissimo per puro caso e mi è piaciuto molto, anche se inizialmente non mi aveva convinto lo stile asciutto, preciso, quasi asettico, della narrazione. È una storia di rinascita raccontata senza retorica, passando per quei momenti di smarrimento in cui è difficile riuscire a spiegarsi, in cui non si ha neppure voglia di doverlo fare, che però alla fine lascia una speranza di cambiamento, metaforicamente racchiusa nella leggerezza della primavera che ritorna.
“Excerpe te vulgo” diceva il buon Seneca, ovvero “Strappati dalla folla” e la protagonista di questo romanzo, felicemente sposata e madre di un bambino, prende alla lettera le indicazioni del filosofo latino e decide - inopinatamente e senza motivazioni apparenti - di dare il ben servito al marito. “Vindica te tibi” continuava il filosofo di cui sopra invitando l’amico Lucilio a riprendere il dominio su se stesso: è quello che si propone la donna, definita mancina sia per il suo strano comportamento, sia per una canzone le cui parole spiegano che la condizione femminile è sempre “in funzione di qualcuno o qualcosa” sia essa il marito, il figlio, la casa e mai in funzione di se stessa. Il tema assegnato al bambino dalla maestra nelle prime pagine è sintomatico: “Qual è la mia idea di una vita più bella?” A questa seguono altre domande esistenziali: “Chi sono veramente io?” “Cosa voglio?” Il romanzo è quindi un tentativo di scavo nei recessi dell’anima alla ricerca di se per approdare alla Felicità che, nel caso della protagonista, consiste in brevi attimi intensi, improvvise epifanie in una vita molto ordinaria e monotona come evidenziato nelle numerose e brevi scene descrittive al lavoro, a casa con il figlio, al supermercato. Una volta riavuta l’indipendenza sopraggiunge un altro problema, quello della solitudine: l’uomo è un animale sociale che ha bisogno degli altri, ma al tempo stesso per poter stare in società in maniera degna deve prima stare in pace con se stesso; risulta inoltre difficile comunicare con gli altri perché nessuno può pretendere di conoscere i percorsi tortuosi della psiche di una persona, dal momento che essi percorsi non sono chiari neanche al soggetto stesso. Il tutto viene raccontato con una scrittura asettica, documentaristica, minimale una sorta di copione (Handke fu sceneggiatore di Wim Wenders) con molte scene descrittive che si susseguono seguendo il ritmo quotidiano, anche un po’ noioso, della vita solitaria della donna.
Interessante, minimalista, essenziale, crudo, molto molto freddo.
Recensioni
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