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Anno edizione: 2017
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Fin dal titolo, La donna che pensava di essere triste (L.d.c.p.d.e.t.) affaccia questioni e dubbi: era triste, questa donna, o solo pensava di esserlo? E le due condizioni, essere e pensare di essere, possono coincidere?
Diciamo subito che a queste domande il libro non risponde, ogni lettore può uscirne con la propria opinione. Del resto, grazie a dio, questo libro non dà risposte, anzi, frequenta regioni assai nebulose, di confine – anche se il confine non è mai chiaramente disegnato.
A primo sguardo L.d.c.p.d.e.t. sembra un romanzo corale, trabocca di strani personaggi che interagiscono fittamente con la protagonista. Un sarto che non le cucirà mai la coperta di tristezza che la donna desidera, occupato com’è dal suo progetto di museo. Il saggissimo gatto, con una debolezza per l’erre moscia e le sardine – propensione che condivide con il direttore del supermercato dei sogni. Le commesse di quel supermercato con testa di leone, di cocker, di giraffa, di coniglio. Il gentile magazziniere, che si dilegua sfumando nell’aria. Il fattorino delle consegne, galoppante su zampe di ragno. Il signore con i baffi, che conta sul pallottoliere i sorrisi che fa e quelli che riceve. Il postino dei gomiti, ”ciuffo di capelli rossi (…) e manine piccole, simili a quelle di un criceto” (p.72). E soprattutto il monumento di bronzo nella piazza, con cui, già a inizio narrazione (p.27), la donna ha un interessante scambio (“Il monumento disse con dolcezza – Io sono immenso. / - Sei immenso perché ti ho fatto io così – rispose lei”). Lo ha fatto lei?! stupisce il lettore: allora forse il monumento, pur essendo di solido e sonante bronzo, è fantasia, visione, immaginazione. Delirio. Ma allora forse non sono veri neanche tutti gli altri comprimari, compreso il gatto…
Franca Rovigatti
Recensione completa su Alfabeta2
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