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recensione di Collareta, M., L'Indice 1993, n. 9
Oltre trent'anni fa, recensendo il libro di Erwin Panofsky sull'antica pittura fiamminga, Otto Pächt osservava: "Mentre è discutibile se si debba iniziare la storia della pittura rinascimentale con Giotto o con Masaccio, nessun dubbio è permesso circa il punto in cui deve cadere la cesura tra medioevo ed età moderna nella pittura nordica". Questo punto è naturalmente Jan van Eyck . Se si volesse prospettare un'analoga periodizzazione per la scultura, il discorso dovrebbe essere posto in termini per così dire rovesciati. Mentre infatti si può rimanere incerti sul dove e sul quando abbia inizio la scultura tardogotica nordica, una lunga e ben fondata tradizione concorda nell'indicare in Donatello l'iniziatore di una nuova epoca nella scultura italiana e non solo.
La cosa non può ragionevolmente essere posta in dubbio. Ci si può limitare a constatarla o si può cercare di darne conto. Questa seconda strada è stata tentata da Artur Rosenauer, già allievo di Otto Pächt a Vienna, nella monografia che qui segnaliamo. L'autore sottopone le opere di Donatello a una serrata analisi formale, al cui centro sta il concetto di spazio. Il rilievo, la statua nella nicchia, il grande complesso monumentale: questi e altri compiti artistici che Donatello s'è trovato ad affrontare dimostrano come egli abbia abbandonato ogni residuo di percezione tattile per addivenire a una percezione ottica globale. Più interessante è però osservare come Rosenauer riecheggi Riegl e Loewy in punti precisi, ad esempio a proposito dell'unità spaziale in Donatello e Ghiberti o a proposito dell'affinità della Cantoria con certe opere dell'arcaismo greco. Questa larghezza d'orizzonte aiuta senz'altro a comprendere la grandezza di Donatello. A tratti però sembra pregiudicare una messa a fuoco più puntuale dei problemi. Così il rapporto di Donatello con gli artisti contemporanei appare meno importante di quello che lo lega ai grandi geni del passato e del futuro. C'è da chiedersi se, prestando un'attenzione maggiore al contesto, Rosenauer sarebbe giunto alle stesse conclusioni per quanto riguarda opere difficili come la lunetta di Torrita o la lastra tombale di Martino V. Nel libro non si trova solo un saggio di quella "storia universale dell'arte" di cui la nostra cultura sembra purtroppo aver perso il gusto, ma anche una capacità di penetrazione acuta e originale di molti capolavori di Donatello. Per fare solo qualche esempio tra le opere generalmente meno comprese del maestro, basterà citare i passi sul "San Marco", sul "San Ludovico" di Tolosa, sul Pulpito di Prato... L'interpretazione del "David" in bronzo come una figura da giardino, già avanzata da Rosenauer quasi vent'anni fa, si conferma come il più sensato intervento di questi ultimi tempi sulla più enigmatica statua del Quattrocento fiorentino. I problemi cronologici e attributivi non possono ovviamente essere discussi in questa sede. Bisogna tuttavia segnalare che le ipotesi di Bellosi sulla giovinezza di Donatello non sono liquidabili come una semplice sottrazione di pezzi all''entourage' di Michele da Firenze. Esse sollevano certamente dei problemi, ma offrono pure delle soluzioni per opere di attribuzione antica come il "Crocifisso" di Santa Croce e per l'intricata questione delle statue degli sproni.
Di tutto ciò il lettore doveva essere informato. Quanto ancora rimanga da fare intorno a Donatello, anche per periodi apparentemente più conosciuti, è stato dimostrato da ultimo dall'intervento di John T. Paoletti sulla "lastra Pecci" e da quello di Francesco Caglioti sulla "Madonna Dudley".
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