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Anno edizione: 2016
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sconcertantemente illuminante, come un quadro impressionista...E' un capolavoro.
è cosi, è esattamente cosi come lo descrive lui duro, doloroso, sono cosi le fasi della disillusione, sono cosi i primi fastidi, è cosi il sentire da una parte che si vorrebbe che l'altro restasse e dall'altra che se ne andasse e alla fine resta un ''dolore normale'' grazie Professor Siti
Ho avuto la fortuna di sostenere, dieci anni or sono, l'esame di letteratura italiana moderna e contemporanea con il prof. Siti. E' un uomo di cultura enciclopedica, di grande ironia, capace di leggere anche la lista della spesa e ipnotizzare l'uditorio. Il suo libro è alta letteratura e proprio per questo a tratti risulta brutale, ostico, crudele. La curatissima scelta lessicale, l'originale impianto narrativo, le spudorate allusioni biografiche lo rendono imperdibile nonostante i continui riferimenti all'amore omoerotico possano turbare i lettori provinciali e chi alla letteratura preferisce un'ipocrita morale.
Recensioni
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Non è facile accostare criticamente questo romanzo di Walter Siti. Andando avanti nella lettura e anche appassionandosi alle sue pene d'amore perdute, si ha improvvisamente la spaesante sensazione che il libro sparisca, che la storia, i personaggi evaporino dentro un gioco raffinato di specchi e di simulazioni (e sarebbe probabilmente troppo facile considerare tutto questo una involontaria metafora del destino del romanzo oggi, almeno alle nostre latitudini...). In Un dolore normale, seconda fatica letteraria dell'autore dopo l'esordio di Scuola di nudo (Einaudi, 1994; cfr. "L'Indice", 1995, n. 3), l'ambiguità è certo trasparente, ancor più dichiarata. "Siccome io sono certo che sto mentendo mi pare probabile (...) che stia mentendo anche tu": il racconto minuzioso del rapporto tra Walter (l'io narrante - professore universitario, studioso di letteratura e scrittore) e Mimmo (da Vietri, semialfabetizzato, doppiatore cinematografico) si rivela di una sincerità disarmante (non si rimuove nulla), ma rappresenta anche, come ci avverte il risvolto, una "autobiografia di fatti non accaduti". È vero che chi narra ci confessa subito impudicamente, ad apertura di libro, che "di solito sono un uomo che piange", ma un po' di pagine dopo si troverà a dichiarare: "Ora lo sai fino a che punto posso simulare"; mentre la sua carenza d'amore è tale "da non poter essere saturata che dalla finzione". Nella sua struttura modulare, a piani giustapposti (trama classicamente romanzesca - amore e morte -, diario intimo, riflessione "filosofica" sulla vita, misto di prosa e poesia, quasi manuale di psicologia della "vita amorosa" e delle sue piccole illuminazioni - mirabile il passo sul ping pong, con lui che si scopre non più pallettaro poiché con Mimmo non gli importa più di perdere), il libro mostra una ricchezza inesauribile di suggestioni: nella sue pagine trovano posto sia la discoteca, la spiaggia dei culturisti in tanga, Concato, la canzonetta di moda, le percussioni africane, sia la vita secentesca di Giovanni diDio e i brani da trattato scientifico di etologia, come la pagina straziante sul pesce del Tanganica. Non per omaggio modaiolo al contenitore postmoderno, "blobbiano", ma forse per dimostrare come qualsiasi oggetto del paesaggio (esteriore e interiore) può essere metabolizzato dalla scrittura romanzesca, e trapassare così in un manufatto che ha apparenza di realtà. E, del resto, proprio Siti aveva una volta lucidamente definito il Romanzo come luogo dell'et-et... Dell'io narrante (dei suoi desideri, dei suoi pensieri) sappiamo o crediamo di sapere tutto, ma d'altra parte si tratta pur sempre di un personaggio inventato dall'autore, e forse da questi non riesce mai abbastanza a emanciparsi. A volte sembra smarrirsi nella propria stessa vertigine metafisica (un "vuoto" o carenza che non riguarda più solo la vita amorosa e dei sensi), o affondare nei propri terrestri tormenti, ma sentiamo anche che l'autore (in fondo solidale con lui, fin troppo pietoso nonostante tutta l'automacerazione) non lo abbandona mai e lo assiste amorevolmente. Ritornano qui alcune costanti tematiche e stilistiche dell'opera prima (così come i muscoli lucenti dei culturisti), ma non ci sono le "cronache comiche" delle infinite beghe e dei rituali dei docenti universitari (la satira della vita accademica: quasi un genere letterario inedito per l'Italia), mentre l'autore si impegna in alcune sapienti riproduzioni mimetiche di dialetti centro-meridionali (romano e napoletano: "All'America 'e femmene se chiammano uòmmene, sì, sì, wommen, 'o ggiuro..."). Si aggiunga che tutta la "primavera" dell'innamoramento omosessuale (nella prima parte) viene raccontata con una freschezza e uno slancio piuttosto rari in analoghe vicende di relazioni eterosessuali pur abbondanti nel filone neoromantico della nostra narrativa: si pensi solo all'attenzione trepida per i "dettagli" commoventi del viso e del corpo di Mimmo. D'altra parte un sapore luttuoso sembra poi distendersi su queste pagine, fino all'epilogo e a quel rigo di sangue, un "filo nero", dalla bocca del compagno precipitato dal balcone. Eppure, di fronte a una scrittura così lavorata e iperconsapevole, di fronte a una pagina così straordinariamente fitta, il lettore si chiede se quel fantasma della morte non venga infine evocato solo per essere esorcizzato in fretta, quasi una quinta teatrale che serve unicamente a suggellare la vicenda. In qualche caso ci viene perfino il sospetto che la musa dell'autore sia, nascostamente, quella del comico (di un comico non dimentico del suo contrario): si pensi anche al vivace teatrino domestico della famiglia campana (tra lussuriose pietanze e continui ammiccamenti) o al grottesco dello scambio di organi. A un certo punto sentiamo cioè che Siti attraverso la sua calibratissima macchina narrativa multistrati potrebbe ingannarci, prendersi gioco di noi, benché in modo seduttivo. Ma se anche ciò accadesse lui stesso non sarebbe interamente al riparo da un inganno del genere. Come se in questo falso diario o
recensioni di La Porta, F. L'Indice del 1999, n. 05
remake di un remake, nella sua scrittura coltissima e "corporale", nel suo romanzo che sparisce, si fosse smarrito (o "annullato", per parafrasare il qui citato Norman Brown) anche lui (magari per intima, insuperabile ingenuità); e proprio perciò questo libro a tratti inafferrabile, sfuggente, sgradevole, arriva a commuoverci indicibilmente.
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