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Il capolavoro di Gerbi con bibliografia dei suoi scritti.
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"Inassimilabile, invece, anzi acidamente corrosiva d'ogni illusione di primato, era la tesi della degenerazione e impotenza del Mondo Nuovo. E quasi tutti i 'padri della patria' degli Stati Uniti scoccarono qualche frecciata contro Buffon o de Pauw."
La recente edizione de La disputa del Nuovo Mondo di Antonello Gerbi, per il prezzo, per la chiara introduzione del figlio Sandro, e il limpido saggio di Antonio Melis, ha reso quest'opera (ormai un classico della storiografia contemporanea) accessibile a un vasto pubblico di lettori.
La tesi che Gerbi contesta e della cui falsità porta numerose prove e argomentazioni, è quella sostanzialmente sostenuta da Buffon e da un altro storico, oggi poco conosciuto, l'abate Pauw: le Americhe mostrano la loro assoluta e sostanziale inferiorità rispetto al Vecchio Continente sia nella fauna, che nella flora, che nelle popolazioni che le abitano.
Tale visione decisamente ridicola (oggi a noi sembra addirittura impossibile che qualcuno abbia sostenuto una simile tesi) ebbe però un peso e un rilievo maggiore di quello che può apparire unicamente un ozioso dibattito tra raffinati intellettuali: erano messe in gioco alcune considerazioni di fondo sull'uguaglianza degli uomini e sul concetto stesso di "superiorità" e "inferiorità". La stessa flora, così diversa nel Nuovo rispetto al Vecchio Continente non può essere posta in un confronto qualitativo, quanto nella realtà di un ecosistema armonico e funzionale: è cioè da connotarsi positivamente ciò che la natura pone in relazione utile al resto del reale. Lo stesso vale per la fauna: è possibile giudicare il puma inferiore al leone? Che cosa intendiamo per inferiore? E non c'è il rischio del ridicolo ad affermare che i grandi mammiferi sono oggettivamente animali superiori? Tutto ciò viene ampiamente e riccamente argomentato da Gerbi che in ampi excursus costruisce anche una vera e propria storia delle Americhe e della loro colonizzazione. Intellettuale raffinatissimo, ma non pedante, utilizza i numerosi riferimenti, offre al lettore rare citazioni, propone letture di testi e autori meno noti, il tutto non per sfoggio di erudizione ma per esigenza di chiarezza e di sostegno alle proprie posizioni.
Con ancora maggiore passione l'autore porta le sue argomentazioni contro la tesi dell'inferiorità delle popolazioni native delle Americhe. Gerbi visse a lungo (più di dieci anni) in Perù, non per libera scelta, quanto perché venne generosamente mandato in quel Paese da Mattioli, suo superiore alla Banca Commerciale, per permettergli di sfuggire alle famigerate leggi razziali che nel 1938 erano entrate in vigore in Italia. Tutto ciò quindi che, a ragione, sentiva facilmente collegabile alla cultura razzista era da lui fortemente rifiutato. Nulla però di personale in questo ampio testo, nulla di emotivo, quanto piuttosto la razionalità e l'intelligenza di un vero intellettuale, un maestro nella storiografia e nella storia delle idee.
A cura di Wuz.it
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